Zucchero, nespole
e spaghetti
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Per coltivare la canna
da zucchero erano indispensabili terreni fertili e un sistema di irrigazione con
una grande portata d'acqua, cosa che al paese non è mai mancata. Nei primi
mesi di ogni anno, i terreni venivano arati e venivano divisi in zone quadrate
di circa 10 mq. ciascuno, per poi potervi effettuare l'irrigazione del tipo a
sommersione. In dette riquadrature, venivano subito dopo messe a dimora le talee
(radici di canna) con la relativa concimazione, effettuata con concime misto,
possibilmente, a foglie delle stesse canne da zucchero. Le talee venivano preparate
durante i raccolti precedenti tagliando verso la fine di dicembre le punte verdi
del fusto, all'altezza del quarto nodo, partendo dall'alto verso il basso. Queste,
raccolte in piccoli "fasci", venivano interrate e ricoperte dalle foglie
delle stesse piante miste a concime. A fine febbraio si realizzava l'impianto,
interrando le talee ad una distanza di circa un palmo l'una dall'altra. La crescita
di queste pianticelle veniva sorvegliata costantemente per evitare che qualcuna
di esse non germogliasse. Da maggio a settembre, i contadini zappavano continuamente
tra le piante, rincalzandole e dando loro necessaria quantità d'acqua.
A fine anno si effettuava la raccolta tagliando le canne sino al colletto. Infine
a marzo, si dava fuoco alle foglie, per accelerare il risveglio delle radici,
che così davano i germogli per la seconda ed ultima produzione. Dopo, le
canne vecchie venivano sradicate e sostituite dalle talee. La canna da zucchero,
pulita dalle foglie, veniva tagliata a piccoli pezzi e passata alla "malazza".
L'impasto che ne usciva fuori, veniva portato alla pressa e il succo che ne scaturiva,
liberato dalle grosse impurità, veniva versato dentro grosse caldaie di
rame e quindi bollito. Il liquido, veniva poi versato, per la decantazione, in
recipienti conici di argilla, chiamati "furmi" al fondo dei quali vi
era un filtro, che faceva passare il liquido, trattenendo le impurità.
Nel '500 lo zucchero isolano visse il suo periodo più felice e sino alla
metà del seicento si investivano grossi capitali per la sua coltivazione.
La scomparsa della canna da zucchero, è stata oggetto di studi e ricerche
da parte degli storici. Quasi tutti sono d'accordo nel darne la colpa alle variazioni
climatiche che avvennero alla fine del XVI secolo ed alla concorrenza dello zucchero
delle piantagioni del Nuovo Mondo. Oltre che per lo zucchero e per la pasta, Trabia
è conosciuta in campo nazionale per le sue caratteristiche coltivazioni
di nespole, la cui produzione viene esportata oltre stretto costituendo il cardine
dell'economia locale. Si dice che le nespole giapponesi arrivarono per la prima
volta in Europa nel 1784 e inizialmente furono coltivate come piante ornamentali
per via del loro fogliame sempre verde. La coltivazione della nespola a scopo
agricolo probabilmente si diffuse dopo il 1831, raggiungendo col passare del tempo
elevati standard qualitativi. Le nespole sono molto delicate, quindi non possono
essere conservate a lungo ma consumate subito dopo essere state raccolte. Il marchio
"Nespola! Esclamazione di Trabia" indica la qualità del prodotto
locale garantito da severi controlli.
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La prima apparizione di Trabia, in cui si parla di un nucleo abitato, è
attestata in documenti dell'XI secolo; nel XII secolo Trabia ricompare come casale,
anzi più esattamente come "mahall" cioè borgo. Era e continua
ad essere un luogo fertilissimo e ricco di acque perenni.Secondo il colto monsignore
Alfonso Airoldi (1729-1817), il casale di Trabia compare sin dal periodo bizantino,
quando, durante la conquista araba della vicina Termini, l'esercito islamico vi
costituì il suo quartiere generale costruendo una piccola roccaforte. Un
altro documento storico risale al XIV secolo, quando venne concesso un mulino
situato nel suo territorio ad un certo Bertino Cipolla che alla sua morte lo cedette
a Lombardo di Campo per poi passare ad Antonio Salomone.
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La Porta d'ingresso di Trabia
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Nel 1408 divenne proprietà prima di Guglielmo poi di Bernardo Tricotta
che lo lasciò in testamento al Convento del Carmine di Palermo. Nel 1445
detto convento lo cedette a Leonardo Di Bartolomeo con i due mulini che conteneva.
In seguito il Di Bartolomeo acquistò dalla città di Termini tutto
ti territorio compreso tra il vallone di Trabia e il vallone di Finauti.
La nipote del Di Bartolomeo, Aloisia, sposò Blasco Lanza portandogli
in dote il territorio di Trabia con la clausola che in caso di morte della moglie
Blasco sarebbe stato l'erede. Morta Aloisia detto territorio divenne proprietà
di Blasco Lanza e quindi della sua famiglia tanto che la storia del paese non
è altro che il riflesso della storia dei Lanza con tutti gli alti e bassi
della famiglia fino ai nostri giorni.
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