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Elicotteri
e Canadair facevano la spola per spegnere gli incendi nei boschi, e la popolazione
viveva momenti di preoccupazione. Il sindaco di Nicolosi, Salvatore Moschetto,
rassicurava, ascoltava, sollecitava interventi. La lava dapprima rallentò, altra
lava si sovrappose alla prima, rallentò pure quella e dopo un'altra settimana
si fermò. A poca distanza dalle cave naturali che comunque erano pronte a contenerla,
se avesse continuato a scendere. In realtà i cittadini di Nicolosi, abituati come
sono alle eruzioni, non si sono mai veramente preoccupati se non delle pesanti
conseguenze economiche. Eppure tv e giornali esteri (ma i toni drammatici erano
usati anche dai nostri network nazionali) pubblicavano racconti di gente in fuga,
terrorizzata. Di case incendiate e paesi evacuati. "Che devo fare, la redazione
mi chiede immagini degli abitanti con le valigie pronte" mi diceva un collega
tedesco. Gli ho risposto che neanche a pagarlo, ne avrebbe trovato uno. Evidentemente
dopo dieci giorni, la "semplice" eruzione di per sé non faceva più notizia. Così
saltò fuori anche la storia delle cinquemila, o ventimila che fossero, sacche
per cadaveri che erano state ordinate alla Germania. Per fortuna la prendemmo
tutti a ridere. Tempo dopo qualcuno della Protezione Civile mi spiegò che qualcosa
di vero c'era, nel senso che si tratta di procedure del piano antisismico che
in ogni caso devono scattare. Ma insomma le sacche furono rimandate indietro con
un "grazie del pensiero, non ne abbiamo bisogno". Anche perché subito dopo il
primo giorno, in cui purtroppo si verificò l'unico grave incidente ad un uomo
che scappava dalla zona dei crateri in seguito ad un'esplosione, l'Etna diventò
off-limits per chiunque non avesse buoni e validi motivi per salirvi in cima.
I posti di blocco erano tanti, sulle diverse vie d'accesso. La sera diventavano
quasi dei punti di ritrovo, con tanto di furgoncini per panini, bibite e souvenir.  |
La
gente posteggiava le macchine e proseguiva a piedi. Il sabato capitava di vedere
intere famiglie col passeggino, ma per lo più si trattava di comitive di ragazzi.
Vestiti come per una serata in discoteca, armati solo di una torcia, arrancavano
nel buio per qualche chilometro sperando di vedere "la lava da vicino". Ma la
salita, e la distanza, finivano per scoraggiare i più. Io invece grazie a questo
mestiere ho potuto vivere un'esperienza speciale e per me assolutamente nuova,
tra decine di colleghi da tutto il mondo, forze dell'ordine, volontari, titolari
d'esercizi commerciali, politici e scienziati. Una palestra professionale ed umana
impareggiabile, ed anche un osservatorio privilegiato. Altro che "la lava da vicino".
Credo che non dimenticherò mai il calore insopportabile, nonostante il vento sferzante,
e l'odore intenso di zolfo della lava appena sgorgata. E il rumore poi…! Soffi
violenti, continui, quasi urla di rabbia. La colonna sonora di un'eruzione vista,
anzi sentita da vicino è fatta d'esplosioni e rombi su un sottofondo che è come
un respiro. Per forza poi un vulcano viene chiamato sui giornali "il Gigante",
e la fantasia popolare gli attribuisce azioni e pensieri, come se fosse una persona
viva. Ma il Gigante, o "a muntagna", come amano chiamarlo i catanesi, quando si
sveglia qualche danno lo deve fare. In quest'ultima eruzione, in più riprese ha
distrutto gli skilift, i piloni e la stazione d'arrivo della Funivia. Ha lanciato
in aria tonnellate di cenere nera e vetrosa, attirandosi le maledizioni delle
massaie e degli amministratori comunali dell'intera provincia di Catania e soprattutto,
complice il vento, riuscendo a fare chiudere l'aeroporto di Fontanarossa nel primo
weekend d'Agosto, con centinaia di voli e di charter turistici dirottati su altri
scali. Danni ai quali si sono aggiunti quelli per "mancato introito", denunciati
da tutti gli operatori economici della stazione Etna Sud-Nicolosi. |