"Cchi ddici l'Etna?". A distanza di mesi, me lo chiedono
ancora. Manco fossi un vulcanologo. Perché lassù, nelle tre settimane di diretta
tv sull'eruzione, vulcanologi lo eravamo diventati un po' tutti. A furia di raccontare
di hornitos e di bocche effimere, a snocciolare quote e metri cubi, a parlare
di viscosità e di materiale piroplastico. "Cchi ddici l'Etna?". Adesso tace, per
fortuna. C'è giusto un pennacchio bianco in cima, che si confonde con le nuvole.
E sembra incredibile, ripensando invece allo spettacolo infernale di quelle notti.
Le fontane di fuoco che si vedevano benissimo anche a chilometri di distanza,
i fiumi di lava che nel buio erano enormi lunghi rivoli di sangue sui fianchi
della montagna. Mercoledì 18 Luglio 2001. Dovevo andare a fare un servizio sulla
giornata-tipo dei Vigili del Fuoco, ma né quella né le successive sarebbero state
giornate normali per i V.V.F. (e neanche per me!). Poche ore prima, di notte,
si era aperta la frattura laterale sulla Montagnola a quota 2.100, e nella mattinata
la lava era già arrivata vicinissima al piazzale del Rifugio Sapienza. Puntava
dritta al grande posteggio panoramico della SP 92. C'erano ruspe in azione, cercavano
di "preparare" un percorso al grosso serpente caldo alto sei metri che avanzava
rotolando su se stesso.
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L'Etna poggia su strati molto antichi,
anche se non troppo: infatti la sua nascita fu quasi sicuramente vista dall'uomo
della preistoria. Probabilmente la nascita del vulcano
cominciò nel mare dal quale emerse per l'accumularsi del magma, circa cinquecentomila
anni fa. (Foto di Fabrizio Villa) | |
Nel
modo di avanzare della lava c'è qualcosa d'affascinante e terribile insieme: c'è
sempre tempo, infatti, prima che ti arrivi addosso. Puoi sicuramente metterti
in salvo, e anche portar via qualcosa cui tieni. La lava puoi provare a deviarla,
rallentarla, arginarla. Ma non la puoi fermare. Così, quel primo giorno abbiamo
tutti assistito impotenti allo "spettacolo" della natura che si riprende uno spazio
su cui l'uomo ha costruito. Il fronte, questo mostro nero e fumante, ha attraversato
il posteggio e la strada piegando pali elettrici e bruciando cartelli per continuare
la sua discesa dopo aver inghiottito la palizzata di recinzione. Uno "spettacolo"
che gli uomini della Montagna ben conoscevano dalle precedenti eruzioni, e che
nei giorni successivi avremmo visto ancora, e sempre più impressionante. Ho scritto
impotenti, ma avrei dovuto aggiungere: quasi. Perché in quella prima occasione
come nelle altre emergenze, sia sul piazzale sia chilometri più in giù, dove i
fronti avanzati puntavano in direzione di Nicolosi, c'è sempre stato l'intervento
delle forze coordinate dalla Protezione Civile. Il Soccorso alpino della Guardia
di Finanza, la Forestale, i Vigili del Fuoco. Perfino i militari del 3° reggimento
Guastatori. Più i ruspisti, ingaggiati con le enormi macchine di movimento terra.
Nessuno avrebbe potuto fermare davvero la lava, ma a contenerla ci hanno provato
sempre. E per quanto riguarda le strutture del piazzale Sapienza, ci sono riusciti.
Il ristorante "La Capannina", ad esempio. Forse non ci sarebbe più se il suo proprietario,
il sig. Nino Corsaro, insieme con i pompieri non si fosse incaponito ad innaffiare
lateralmente la lava per raffreddarla e impedire che il fronte si allargasse.
Quella dei vigili che dirigono potenti getti d'acqua sulle rocce infuocate è un'immagine
che ha fatto il giro del mondo. La lotta impari degli uomini contro il vulcano,
i disperati tentativi per impedire danni maggiori assumevano i colori della sfida,
di un vero corpo a corpo. Una notte sembrava che tutto fosse perduto, che l'eruzione
prendesse sempre più vigore. Indimenticabile allora lo sfogo rabbioso e le lacrime
dell'ing. Vanni Calì, coordinatore dei mezzi che avevano costruito le dighe di
pietre. Quella notte andò in fiamme un capannone della Provincia dove erano tenuti
i mezzi spazzaneve, ma il Centro servizi del Comune di Nicolosi e dell'APT fu
solo lambito dalla lava, grazie agli sforzi umani. |