Approdo di civiltà esogene, Siracusa ha nella
sua origine greca il tratto saliente della propria identità, aperta
al dialogo fruttuoso con le generazioni d’ogni tempo. Dalle geometrie
doriche alle esuberanze barocche si snoda un percorso che ha visto mescolanze
di stili non solo architettonici, capaci di generare frutti originali
di arte e civiltà.
Di ciò si è accorto il cinema, dinanzi ad un paesaggio in
cui i segni dell’uomo gridano silenziosamente la transitorietà
del vivere.
È la pietra l’elemento primigenio che domina l’altopiano
esteso all’interno del territorio siracusano. La pietra che affiora
rugosa sui terreni incolti o appare raccolta, paziente, in cumuli antichi
al centro di campi seminati; le linee infinite dei muri a secco, disposte
in righe musicali, solcano le colline dai colori cangianti.
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Di quella pietra, dell’uomo e del suo lavoro parlano
le piccole case coloniche o le imponenti masserie che sorgono isolate
tra i campi, circondate da alte mura a difesa, segno d’antiche paure
d’assalti e razzie. Ovunque s’innalza pietra intagliata da
mani esperte, ad ammorbidire con la dolcezza d’un ricamo l’asprezza
del vivere, di cui la stessa pietra è segno.
Poi c’è il mare. Un mare doppio, di scogli e sabbia, è
quello che segna il confine in questo tratto di costa. Un mare doppio,
ambiguo. Come ambiguo è da sempre il rapporto tra il mare e i siciliani.
Al mare ci si affida in un viaggio di speranza e del mare si diffida,
perché da esso proviene la minaccia di chi ci assoggetta. La storia
di Sicilia e del suo mare, con il segno doppio dell’ambiguità.
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