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Wall Street
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Quello che è successo negli Stati Uniti deve farci paura. Ma è
difficile che possa ripetersi dalle nostre parti, dove, nonostante tutto, le più
grosse aziende quotate in Borsa sono in mano alle famiglie italiane (Agnelli,
De Benedetti, Ligresti). Caso mai si può assistere a lotte, magari serrate,
come nel caso recente di Hdp (con l'ingresso negato al paternese Salvatore Ligresti)
e di Mediobanca. Ciò non toglie che, ad un anno esatto dalla vigilia dell'attacco
agli Stati Uniti, l'indice Mibtel della Borsa di Milano era in perdita del 17,44%,
il Mib 30 (l'indice delle blue chip) scendeva del 20% e il Numtel (l'indice del
Nuovo Mercato) perdeva addirittura il 32% e venerdì 13 settembre toccava
il minimo dalla sua nascita. Negli ultimi due anni la capitalizzazione di Borsa
è scesa di ben 450 miliardi di euro, vale a dire di 875 mila miliardi delle
vecchie lire.
E poiché alla data di partenza la capitalizzazione era pari a 1.050
miliardi di euro (circa due milioni di miliardi di lire), scendeva un anno dopo
a 699 miliardi, quindi ai 495 miliardi di fine agosto, si registra una perdita
finale di oltre il 50% del valore azionario. Il cattivo andamento delle Borse
si è riflesso anche sui fondi italiani che nei due anni hanno perso, nel
complesso, 36 miliardi di euro, che rappresentano in ogni modo il saldo fra le
perdite delle gestioni azionarie e i guadagni delle gestioni dei titoli a reddito
fisso. Ancora peggio, giacché il loro investimento si è completamente
volatilizzato, è andata ai risparmiatori che hanno sottoscritto i titoli
di Stato argentini, che complessivamente hanno bruciato 12 miliardi di euro nella
sola Italia. Che dopo le illusioni arrivassero le disillusioni era un fatto quasi
scontato.
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Ma vai a raccontare al piccolo risparmiatore, quello appunto che arrotondava
la pensione o lo stipendio con gli interessi dei titoli di stato, vagli a dire
che dopo averlo spinto a indirizzarsi verso il capitale cosiddetto di rischio,
senza illustrargli esattamente quali fossero i rischi, vagli a dire che si trova
con un capitale dimezzato, dal quale, peraltro, non ricava neppure quel due per
cento di interessi che danno i Bot. E così il risparmiatore-tradito ha
deciso di vendere le sue azioni, pur in perdita. Ed è tornato ai titoli
di Stato, con una tale richiesta da far precipitare i rendimenti sotto il 3%.
E allora? L'investimento in seconde case non è conveniente a causa di tasse
elevatissime. Ha ripreso vigore il mercato dell'arte. Ma non è certo per
il piccolo risparmiatore che poco sa di Christies o Sotheby's, o delle Case italiane
Finarte, Semenzato e Telemarket.
C'è a Roma qualche gallerista che garantisce il riacquisto dell'opera
venduta, ad un determinato prezzo. Un poco come fanno gli intermediari finanziari
con il "capitale garantito". Ma le opere d'arte vanno bene a difesa
del capitale, perché non hanno un rendimento immediato e, a parte quelli
garantiti, al momento di un eventuale realizzo, bisogna considerare il mercato
in generale. Oro. Non ha avuto più gli exploit degli anni Settanta. I diamanti
sono "per sempre", quindi meglio evitare un investimento eterno. Come
si diceva gli intermediari finanziari, dopo le perdite accumulate dai risparmiatori
sul capitale, hanno inventato obbligazioni, polizze, gpf (gestioni patrimoniali)
a "capitale garantito". Ma anche qui bisogna stare attenti. Alle scadenze,
alla remunerazione del capitale, ai benchmark, alla durata, al cosiddetto premio
minimo, alle spese di emissione, alla commissione di ingresso, a quella di gestione
e a quella di uscita. E poi al minimo garantito alla scadenza. Complicato? Certo.
Ma meglio chiarirsi le idee subito. E allora? Forse meglio i vecchi, cari titoli
di stato, ottimo parcheggio nell'attesa di tempi migliori che, alla fine, dovranno
arrivare. Ma, di questi tempi, chi ha il coraggio di dare consigli?
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