ANNUARIO 2002
ECONOMIA

11 numero fatale

Wall Street

Quello che è successo negli Stati Uniti deve farci paura. Ma è difficile che possa ripetersi dalle nostre parti, dove, nonostante tutto, le più grosse aziende quotate in Borsa sono in mano alle famiglie italiane (Agnelli, De Benedetti, Ligresti). Caso mai si può assistere a lotte, magari serrate, come nel caso recente di Hdp (con l'ingresso negato al paternese Salvatore Ligresti) e di Mediobanca. Ciò non toglie che, ad un anno esatto dalla vigilia dell'attacco agli Stati Uniti, l'indice Mibtel della Borsa di Milano era in perdita del 17,44%, il Mib 30 (l'indice delle blue chip) scendeva del 20% e il Numtel (l'indice del Nuovo Mercato) perdeva addirittura il 32% e venerdì 13 settembre toccava il minimo dalla sua nascita. Negli ultimi due anni la capitalizzazione di Borsa è scesa di ben 450 miliardi di euro, vale a dire di 875 mila miliardi delle vecchie lire.

E poiché alla data di partenza la capitalizzazione era pari a 1.050 miliardi di euro (circa due milioni di miliardi di lire), scendeva un anno dopo a 699 miliardi, quindi ai 495 miliardi di fine agosto, si registra una perdita finale di oltre il 50% del valore azionario. Il cattivo andamento delle Borse si è riflesso anche sui fondi italiani che nei due anni hanno perso, nel complesso, 36 miliardi di euro, che rappresentano in ogni modo il saldo fra le perdite delle gestioni azionarie e i guadagni delle gestioni dei titoli a reddito fisso. Ancora peggio, giacché il loro investimento si è completamente volatilizzato, è andata ai risparmiatori che hanno sottoscritto i titoli di Stato argentini, che complessivamente hanno bruciato 12 miliardi di euro nella sola Italia. Che dopo le illusioni arrivassero le disillusioni era un fatto quasi scontato.

Ma vai a raccontare al piccolo risparmiatore, quello appunto che arrotondava la pensione o lo stipendio con gli interessi dei titoli di stato, vagli a dire che dopo averlo spinto a indirizzarsi verso il capitale cosiddetto di rischio, senza illustrargli esattamente quali fossero i rischi, vagli a dire che si trova con un capitale dimezzato, dal quale, peraltro, non ricava neppure quel due per cento di interessi che danno i Bot. E così il risparmiatore-tradito ha deciso di vendere le sue azioni, pur in perdita. Ed è tornato ai titoli di Stato, con una tale richiesta da far precipitare i rendimenti sotto il 3%. E allora? L'investimento in seconde case non è conveniente a causa di tasse elevatissime. Ha ripreso vigore il mercato dell'arte. Ma non è certo per il piccolo risparmiatore che poco sa di Christies o Sotheby's, o delle Case italiane Finarte, Semenzato e Telemarket.

C'è a Roma qualche gallerista che garantisce il riacquisto dell'opera venduta, ad un determinato prezzo. Un poco come fanno gli intermediari finanziari con il "capitale garantito". Ma le opere d'arte vanno bene a difesa del capitale, perché non hanno un rendimento immediato e, a parte quelli garantiti, al momento di un eventuale realizzo, bisogna considerare il mercato in generale. Oro. Non ha avuto più gli exploit degli anni Settanta. I diamanti sono "per sempre", quindi meglio evitare un investimento eterno. Come si diceva gli intermediari finanziari, dopo le perdite accumulate dai risparmiatori sul capitale, hanno inventato obbligazioni, polizze, gpf (gestioni patrimoniali) a "capitale garantito". Ma anche qui bisogna stare attenti. Alle scadenze, alla remunerazione del capitale, ai benchmark, alla durata, al cosiddetto premio minimo, alle spese di emissione, alla commissione di ingresso, a quella di gestione e a quella di uscita. E poi al minimo garantito alla scadenza. Complicato? Certo. Ma meglio chiarirsi le idee subito. E allora? Forse meglio i vecchi, cari titoli di stato, ottimo parcheggio nell'attesa di tempi migliori che, alla fine, dovranno arrivare. Ma, di questi tempi, chi ha il coraggio di dare consigli?

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