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Il sindaco Ignazio Sanges
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Stare ad Erice è come essere fuori dal tempo. È
come conoscere altre dimensioni. C'è una certa magia che ci trasporta verso
tempi andati, è come fare un viaggio nella storia e nella cultura che affondano
le radici in secoli tanto lontani da noi. E c'è solo l'incanto ad accompagnare
il nostro cammino di turisti. Qualcuno l'ha voluta chiamare la "montagna
incantata", l'antico centro medievale ericino dove soffiano atmosfere che
altrove non si possono cogliere con uguale intensità. Il silenzio ed i
colori sono elementi fondamentali della vita ericina. La suggestione che il cielo,
il mare e la campagna sottostante siano un tutt'uno, costituiscano un'unica dimensione,
si può provare affacciandosi dai giardini del Balio che guardano su quella
falce che è Trapani e che è come posata su quello specchio d'acqua
dove Mediterraneo e Tirreno diventano un'unica cosa; o ancora dalla terrazza del
centro Ettore Maiorana, il polo scientifico mondiale, da dove la montagna di Cofano
è come poggiata sulla superficie del mar Tirreno che la bagna. Ad Erice
ci sono le pietre delle case, i ciottoli e le basole delle stradine che trasudano
storia. Sono le strette "venule" ericine che ci spingono verso i castelli,
verso le pinete, in mezzo ai boschi. Come se una mano magica ci prendesse e ci
conducesse con lei. A fondare Erice sono stati gli Elimi (Tucidide V a.C.), secondo
altre leggende i primi ad abitare la vetta giunsero dalla Liguria, cento anni
prima della guerra di Troia (Ellenico di Metilene VI a.C.).
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Il golfo di Monte Cofano visto dalla terrazza del
Centro di Cultura Scientifica "Ettore Maiorana"
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Erice divenne presto luogo dedicato al culto pagano. Attorno
al tempio dedicato alla dea della fecondità si sviluppò il primo
gruppo di case, che attorno all'VIII a.C. venne circondato da delle fortificazioni.
Elimi e Cartaginesi avrebbero presto costituito una forte alleanza contro l'espansionismo
dei Greci, e il castello della dea Astante divenne una fortezza. Toccò
poi ai fenici dare un "contorno" militare alla cittadina che andava
sviluppandosi. Dopo le guerre puniche furono i romani a conquistare quella rocca
che nel frattempo batteva pure moneta, con soldi in bronzo che recavano le figure
del cane e dell'ariete. Sono gli anni in cui si sviluppa il culto di Venere, una
leggenda che resiste ancora oggi e che rende ancora più colmo di fascino
il castello che maestoso si alza sopra la campagna trapanese, in cima ai 750 metri
della montagna. "Gebel Hamed" fu il nome dato alla montagna dagli arabi.
Ma è con i Normanni che Erice ritornò in auge, perché serviva
da "sentinella" sul mare. Per ben due volte gli ericini ebbero a fare
"colletta" per evitare di essere venduti. Nel 1555 Carlo V aveva deciso
di vendere la montagna per 4.000 scudi. Nel 1647 gli aragonesi per 14.000 scudi
l'avevano già ceduta ad un mercante fiorentino.
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