ANNUARIO 2001
ECONOMIA

Non sparate sulla Borsa

di
Rino Lodato

A Catania guardiamo Corso Sicilia. A Palermo Via Mariano Stabile. A Messina viale Sammartino. Sono i centri finanziari delle tre città, le strade ed i loro dintorni. Ora proviamo a fare un raffronto tra questi giorni e, diciamo, maggio 2000. Oggi facce tristi entrano ed escono (velocemente) dai borsini delle banche. Ieri, sorrisi a 44 denti. Mance magari eccessive, nei bar affollatissimi. Sguardi furbetti fra investitori, telefonini che trillavano instancabili. Passaparola. E i portafogli che si ingrossavano, almeno virtualmente, a mano a mano che titoli come Tiscali salivano, fino al punto da capitalizzare (numero delle azioni moltiplicato per la quotazione del titolo) più della Fiat. Poi la bolla si sgonfiò. L'economia statunitense cominciò una lunga fase di atterraggio. Dal "boom" allo "sboom" il passo è stato breve. Improvvisamente ci si risvegliava, bruscamente, da quello che non poteva essere che un sogno, lungo magari. Che lasciava tanto amaro in bocca a coloro i quali (tanti), non accontentandosi dei guadagni virtuali, avevano finito con il perdere capre e cavoli.

E poi venne l'11 settembre 2001. L'attacco agli Stati Uniti. L'ennesimo crollo delle Borse. Con l'ex bot-people, traghettato verso altri lidi, sbandato, incredulo di aver perso non solo gli interessi ma anche parte del capitale. Forse perché nessuno aveva spiegato con chiarezza il tipo di investimento cui l'aveva indirizzato. Dunque un approccio e un successivo rapporto errato con il mondo delle azioni. Che invece, nonostante i risultati, dovrebbe interessare molti più italiani di quanti non lo siano. Nel bene e nel male. Se ci spostiamo di là dell'Atlantico, scopriamo che quasi tutte le famiglie posseggono titoli azionari. E non solo. Sono, in genere, le donne a seguire l'andamento dei titoli, forse perché più libere da impegni di lavoro. A parte ciò, non crediamo che gli italiani non siano disponibili a scommettere anche sulle azioni. Ma come, abbiamo in Italia Casinò in quasi tutto il Nord. Chiediamo, da tempo e inutilmente, di aprirne uno a Taormina. E, nel frattempo, ce ne andiamo a Malta. E poi ci stupiamo di quanti italiani siano passati dai titoli di stato alle azioni, direttamente o attraverso le gestioni patrimoniali o i fondi d'investimento. Ma quello che deve capire chi si avvicina al mondo delle azioni è che il mercato azionario non è certo una roulette. Investire in Borsa significa dare la possibilità alle aziende di autofinanziarsi. Comprando le azioni diventiamo proprietari di un pezzetto dell'azienda e ne seguiamo le sorti, attraverso la quotazione. È una vita che si parla di diversificazione degli investimenti. Le azioni, infatti, rappresentano oggi l'11,5%, contro il 3,4% del '97. La sicurezza rimane l'aspetto più importante ma la percentuale di coloro che la considerano come elemento fondamentale delle scelte d'investimento è fortemente diminuita (65% nel marzo di quest'anno contro il 74% nell'aprile 1997) mentre nello stesso periodo è cresciuto del 5% il fattore redditività. Contemporaneamente aumenta la propensione al rischio: le azioni hanno guadagnato una quota dell'11,5% sul totale dei prodotti finanziari acquistati (contro il 3,4% del 1997), mentre gli investimenti in fondi comuni azionari sono lievitati dal 3% del 1997 al 13,6% del 2001.

Ancora poco utilizzato il trading on line, visto che solo il 2,5% di coloro i quali hanno acquistato personalmente prodotti finanziari (1.506 gli intervistati) ha dichiarato di avere usato questo canale. Ma il 23% di coloro che non l'hanno fatto potrebbero in futuro farvi ricorso, in quanto considerato dal 13,5% una "interessante opportunità" e dal 10% "qualcosa che non si conosce ma che si potrebbe utilizzare". Sul fronte covered warrant la ricerca evidenzia che gli investitori hanno dedicato a questo prodotto meno del 10% del loro portafoglio. Ed è naturale, vista la complessità di questo strumento. Ma questi dati indicano la propensione del risparmiatore all'azzardo? Niente affatto. È solo un primo passo (ne restano molti da fare) per affacciarci alla finanza del terzo millennio. Certo, in questi ultimi tempi i dolori sono stati superiori alle gioie, per chi si è convertito alle azioni. La vicenda Bell-Pirelli-Benetton-Olivetti-Telecom non è che l'ultimo tassello, il più clamoroso, di una lunga serie di abusi perpetrati in sfregio al libero mercato finanziario. E in barba alla legge dell'Opa. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una girandola di acquisizioni o progetti di acquisizione tendenti a trasferire il possesso di quote azionarie inferiori al 30%. Nel caso Telecom, Pirelli e Benetton avrebbero dovuto sborsare tra i 150 e i 200 mila miliardi di lire per lanciare l'offerta pubblica di acquisto che avrebbe favorito anche i piccoli azionisti. Invece, venditori e acquirenti hanno finito con l'avvantaggiare sè stessi in danno degli azionisti di minoranza o comunque di coloro che non appartengono al loro gruppo o alla cerchia dei loro amici. In situazioni del genere non vi è altra soluzione che abbandonare queste società perché non hanno rispetto per il mercato finanziario e per gli investitori. L'obiettivo di questi signori non è certo quello di massimizzare il valore delle azioni. Ma per fortuna non sempre è così.

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