ANNUARIO 2003
SPORT

Catania, il caldo caso dell'estate

di Angelo Scaltriti

 

Una formazione del Catania

Si ritrovò terribilmente solo, in carosello intorno a Piazza Europa nella notte della prima beffarda vittoria esterna stagionale, riportata a Cagliari nell’ultima di campionato dal Catania edizione 2002-2003, quel “lungimirante eroe” che per primo, a dispetto della Federazione Italiana Giuoco Calcio, volle credere nel diritto rossazzurro alla serie B. Un traguardo a lungo persino troppo ambizioso, rispetto alla necessità ancestrale, tenera e un po’ ridicola, che il calcio si ritagli uno spazio d’errore senza limiti, calpestando a proprio piacimento lo stesso ordinamento di cui è dotato. Ecco perché il Catania ha dovuto penare un’estate intera: per un malinteso senso dell’autonomia del mondo sportivo, che con dubbia lucidità ha inteso sostenere di potersene infischiare di decreti, ordinanze e provvedimenti dell’autorità giudiziaria in genere. Quasi che una normale parte soccombente in una causa possa dire: “No, per me non vale quanto dice il magistrato…”.

I tecnici Colantuono e Matricciani

Il nodo gordiano del caso Figc (denominazione senz’altro più corretta di caso Catania) è nel bilanciamento di due interessi troppo diversi per essere accostati: il rispetto di elementari principi di uno Stato di diritto relativi al verdetto dei tribunali, da un lato, la fumosa e temeraria difesa di un sottosistema sociale pur ad elevata complessità come il calcio, incapace di una tenuta lineare della propria impalcatura organizzativa e regolamentare, dall’altro. Fior di giornalisti e dirigenti hanno scelto la seconda alternativa, vuoi per scarsa conoscenza del problema, vuoi per miope presa di posizione. Anche per questo, il presidente del Catania Riccardo Gaucci ha deciso di raccontare la sua “calda estate” scandita dal frenetico ritmo di più udienze settimanali, in un libro di prossima diffusione: “Fortunatamente in mezzo a tante verità, sento però ancora troppe cose sbagliate, in giro, sul conto del Catania e della sua sacrosanta battaglia per la B. Di questa storia, peraltro, si conosce o ci si ricorda appena il 10%, ignorandone la complessità, perciò ho deciso di pubblicare la mia testimonianza, dopo la meritata vittoria, perché nessuno dimentichi o mistifichi la realtà”. E dire che il caso si prospettò inizialmente semplice. Il tenore letterale di una norma federale stabiliva esplicitamente che nel giorno della squalifica il calciatore non potesse prendere parte ad alcuna competizione ufficiale in ambito Figc, quindi nemmeno ad una gara del campionato Primavera.

La Curva Nord del "Massimino"

Il difensore del Siena Martinelli giocò invece con la squadra giovanile, nel giorno della sfida di serie B Siena-Napoli. Quindi, in base alla sopracitata norma, non scontò alcunché e prese conseguentemente parte da squalificato a Catania-Siena. Almeno, questo riconobbe la Caf, Commissione d’Appello Federale, sino a quel momento ultimo grado di giudizio calcistico. E’ importante osservare come il caso Antonaccio ed il caso Grieco, giudicati anch’essi nel senso di una sconfitta a tavolino da parte della Caf, fossero in realtà ben diversi dal caso Martinelli: solo il calciatore del Siena giocò nello stesso giorno in cui avrebbe dovuto scontare la squalifica non partecipando ad alcuna competizione. Dopo la sentenza della Caf, otto società antagoniste del Catania nella lotta per la salvezza si coalizzarono e proposero un ricorso alla Corte Federale, che sta alla Caf esattamente come la Corte Costituzionale alla Cassazione: impossibile modificare il giudicato d’ultima istanza, doveroso interpretare con efficacia vincolante ad uso futuro norme controverse. La Corte Federale calpestò invece il diritto sportivo: pose infatti correttamente il principio, oggi tradotto a livello normativo federale, per cui la squalifica va scontata nel campionato in cui è maturata, ma si arrogò incredibilmente, contro ogni diritto e logica, il potere giustiziale di riformare le sentenze della Caf, ristabilendo il risultato Catania-Siena 1-1. Fu opportuno a quel punto un tuono, quello prodotto da Giacomo Scalzo, Procuratore Generale della Repubblica a Catania.

Tifo rossazzuro

“Si torni al Tar, a distanza di dieci anni” fu l’indirizzo sapiente. Il 5 giugno il giudice Zingales accolse le istanze cautelari formulate dall’avvocato Scuderi e sospese l’efficacia del provvedimento della Corte Federale. Numerosi decreti e provvedimenti del Tribunale Amministrativo ribadirono poi il buon diritto del Catania alla restituzione del maltolto di due punti. Polemiche roventi si scatenarono per la linea dura del Tar, necessaria anche al fine di salvaguardare la credibilità del sistema di giustizia amministrativa dai rozzi e mal calibrati tentativi di elusione degli organi federali, che come nella peggiore matrjoska, si piegavano sì ai provvedimenti amministrativi alla base delle delibere del Coni, ma con fervida fantasia sottoponevano la soluzione finale al vaglio di arbitrati tra due parti dall’interesse coincidente (Napoli e Figc avrebbero dovuto “litigare” davanti ad un arbitro sulla sentenza della Caf, che entrambi in realtà avrebbero voluto annullata…) oppure ad imprecisati “altri ricorsi pendenti”. Catania in B, insomma, però… Un però continuo che umiliò una città, i suoi tifosi, le sue intelligenze, la sua passione e la sua civiltà illustre. Un però avallato lungo tutto l’arco temporale della vicenda dal Coni, governo sportivo di rara debolezza nei confronti del calcio teoricamente governato. Inviti “perentori” ma in realtà all’acqua di rose: questo il sunto dell’attività del Coni sul caso Figc. Non bastarono peraltro nemmeno bocciature della tronfia sicumera federale da parte del Consiglio di Stato e del Cga, a metter fine alla vicenda. L’ultimo jolly, al quale non credeva più nessuno, fu il cosiddetto caso Grieco.

Il capitano del Catania
Lulù Oliveira

Il Venezia ricorrente, per dare un’idea, nemmeno si presentò alla Disciplinare, perché sicuro di soccombere. Infatti andò così e tutti pronosticarono che la società lagunare non avrebbe scomodato la Caf, tanto più che la stessa, secondo una logica stringente esposta dal presidente Martellino, non avrebbe potuto decidere, dopo il pronunciamento della Corte Federale, nel senso di considerare squalificato Martinelli. Figurarsi Grieco, che con la Primavera giocò addirittura il giorno successivo alla gara non disputata per squalifica! Invece la Caf (assente Martellino…) diede torto al Catania, con motivazioni in aramaico antico ai limiti dell’analfabetismo giuridico, della serie “non potete avere sempre ragione, il pallone è mio e tu non giochi”: Catania-Venezia 0-2 a tavolino per l’impiego di Grieco, rossazzurri in C a dispetto del successo d’ufficio ai danni del Siena. Di nuovo al Tar, nuova scontata vittoria. I professionisti della confusione scrissero che il Catania non poteva più reclamare ragioni, avendo già riconosciuto l’inappellabilità della Caf, insostenibile invece in questo caso: non perché non desse ragione al Catania, ma perché non avrebbe potuto tecnicamente ignorare e disattendere il principio posto dalla Corte Federale, altrimenti violando il sistema della giustizia sportiva. Semplice, no? Ancora una volta fu sottolineato senza tema dal Tribunale Amministrativo l’oltraggio al diritto calcistico ed il Catania prontamente ricollocato in B, nonostante la mossa della Federazione, che osò “diffidare” i giudici catanesi dall’adozione di ulteriori provvedimenti favorevoli al sodalizio rossazzurro e richiese loro il risarcimento dei danni (!?) (atto, in specie il primo, che varrà l’intensificarsi delle indagini già avviate dalla Procura catanese, culminate ad oggi nelle audizioni di vari personaggi del mondo del calcio in qualità di persone informate dei fatti e nell’iscrizione di Franco Carraro nel registro degli indagati). L’ipotesi di un decreto anti-Tar, quasi che un Tribunale possa essere considerato una minaccia, quasi che davvero si possa mettere in discussione in nome di una presunta “contiguità geo-politica” l’imparzialità di un organismo che sul frontone dell’edificio che ne ospita l’attività reca il simbolo della Repubblica Italiana, non certo lo stemma del Catania, prese quota in questo clima velenoso. Frattanto, il 31 luglio 2003, a dieci anni esatti di distanza dal torto macroscopico nei confronti del compianto cavaliere Angelo Massimino e del Calcio Catania, matricola federale 11700, fondato nel 1946, la Figc tornò a colpire. Rispetto alle “tattiche” dichiarazioni incentrate sul voler attendere l’esito del ricorso al Cga avverso l’ultima riammissione del Catania in B, il Consiglio Federale compì una scelta esattamente opposta. Catania in C1 e calendari “carbonari” subito serviti. Fuori dal palazzo di via Allegri, Luciano Gaucci e politici vari, ma soprattutto centinaia di tifosi del Catania, compostamente splendidi nella loro protesta civile ma vigorosa contro l’atto di forza della Federcalcio. Poco più tardi, alle 19.30 circa, il deposito della sentenza del Cga sembrò chiudere ogni spiraglio: accolto l’appello degli avvocati federali, Catania-Venezia tornò sullo 0-2. Salvatore La Rocca, giornalista d’assalto ma anche lumen iuris dell’intera vicenda, sprofondò in poltrona, a Palermo, insieme al sottoscritto. Pensammo che fosse andata, ma uno scrupolo professionale abbinato all’ultima triste energia ci portò a leggere le pagine del dispositivo e ad intuire presto che nulla era perduto. La… “rocca” resistette: “E’ come pensavamo noi, Angelo. Il Cga ha lasciato una porta aperta: reiterando al Tar lo stesso procedimento con il criterio di notifica delineato nella sentenza, si otterrà un riconoscimento delle ragioni del Catania, stavolta inattaccabile formalmente e sostanzialmente…”. Vinsero i fenomeni. Nacque nel giorno di una sconfitta apparente la leggenda dei legali invincibili: dal procuratore Scalzo al professor Acquarone, dall’avvocato Andrea Scuderi ai brillanti collaboratori del suo studio, non dimenticando l’energica attività sul fronte penalistico di Enrico Trantino. Il Tar, ricevuto il nuovo esposto del Catania calcio, se ne infischiò infatti delle succitate diffide e trattò il caso con eleganza: collegio nuovo di zecca, no al decreto presidenziale (strumento più veloce), sì alla camera di consiglio. Risultato: fuori dal Tribunale di via Milano, una folla di tifosi rossazzurri rimase per ore impassibile, alle temperature torride di metà agosto, prima di esplodere nell’urlo liberatorio “Serie B, serie B”. Il caso delle fidejussioni false, intanto, veniva alla luce con il Napoli nel mirino. Esercizio algebrico: se una società tenuta alla presentazione di un valido documento entro un termine perentorio per ottenere un beneficio preciso, presentasse invece un documento falso oppure fuori tempo massimo (quand’anche perché “parte lesa”), avrebbe diritto al beneficio in questione? Rispondere di sì vorrebbe dire oltraggiare tutte quelle società, numerose, colpite dagli strali della giustizia sportiva per identico motivo… la legge invece è uguale per tutti. Il Tar di Reggio Calabria escluse perciò la S.S. Calcio Napoli dalla serie B. Il decreto “tarallucci e vino”, recentemente convertito in legge con ameni emendamenti poco attinenti (l’esclusione delle squadre di un unico proprietario dai concorsi a pronostici), rappresentò il compromesso finale: B a 24 squadre, controversie sportive al Tar del Lazio e sbalorditivo ripescaggio della Fiorentina, nonché disposizioni varie, ad occhio e croce incostituzionali e comunque destinate ad essere travolte come argini insicuri alla prima piena. Tremante, il nuovo edificio di compromesso, già in occasione della superflua protesta dei presidenti delle società del torneo cadetto, più che altro fondata su motivi economici. L’Elefante ha dovuto percorrere, lentamente, distanze siderali per la soddisfazione di un diritto: ce l’ha fatta ed oggi muove decisamente verso un futuro migliore. Il non negativo avvio nel campionato di serie B è l’inizio di un lungo cammino.

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