ANNUARIO 2003
SANTA VENERINA

Primo passo, la ricostruzione

 

pagine a cura di Orazio Vecchio e Salvatore Arcidiacono

(in collaborazione con l'Ufficio P.R. editoriale)

Il sindaco Antonino Ferlito

L’Eno Etna, la bella manifestazione dedicata ai vini, etnei e siciliani d’eccellenza, all’agro-alimentare, ai prodotti dello artigianato tipico, cui si sono aggiunti in questa edizione, l’olio e il miele, la gastronomia tipica della vendemmia e gli assaggi di mostarde, dolci, gelati al sapore di carruba e le ricotte calde, è arrivata quest’anno all’ottava edizione. Un’edizione che ha avuto diverse novità, nonostante le vicissitudini del paese: dalla apprezzata mostra dei carretti siciliani d’epoca, alle ancora più apprezzate manifestazioni della gastronomia della vendemmia, e particolare nuovo ma estremamente qualificante, l’esposizione allargata alla partecipazione degli artigiani “maestri fabbri”. Sono mancati gli artigiani del legno che assieme agli artisti della maiolica avrebbero potuto completare il quadro delle attività varie cui si dedicano gli abitanti di Santa Venerina. In ogni caso è stata una manifestazione confortata da un successo certamente superiore a quello degli anni passati.
“Grazie, all’impegno del neo assessore Salvo Musumeci” - spiega il sindaco Antonino Ferlito (nella foto) - la macchina della manifestazione si è messa in moto, raggiungendo splendidamente la meta. Va ricordato, tuttavia che Santa Venerina era una cittadina ferita. Il terremoto del 29 ottobre del 2002 ha lacerato profondamente il tessuto urbano distruggendo interi quartieri. Pesantissimi i danni: al patrimonio religioso, visto che i due maggiori templi della cittadina, Sacro Cuore e Bongiardo, sono tuttora inagibili; a quello pubblico, municipio e scuole. Ancora più pesanti i problemi degli abitanti, di tutti quelli che sono stati costretti a lasciare la propria abitazione resa inagibile dal sisma. Malgrado la disastrosa situazione, ci siamo mossi perché bisognava dare ai cittadini un segnale forte e positivo. L’Eno Etna, in questo senso, è stato il primo segnale forte per tentare la strada del rientro alla normalità. E la risposta è stata altrettanto forte perché abbiamo potuto misurare che, nella cittadina, c’è una voglia di fare ed essere presenti, produrre”.
Il nodo centrale resta comunque la ricostruzione post terremoto, chiediamo.
“La ricostruzione resta certamente il problema centrale perché la gente ha bisogno di tornare nelle proprie case e alle attività di sempre. Ritengo sia significativo che, nel celebrare il primo anniversario del terremoto, ad appena cinque mesi dalle elezioni, siamo riusciti a consegnare ai nostri concittadini i primi “Buoni-contributo” per la riparazione delle loro case. Così come è significativo che nel mese di novembre saranno pagati altri tre mesi del “contributo per l’autonoma sistemazione”. Ci stiamo muovendo bene e con efficacia e lo dimostra l’approvazione data dal Consiglio comunale, grazie all’abilità politica del suo Presidente, Giuseppe Patanè, al “Piano di rientro nell’ordinario e per la ricostruzione, riparazione e adeguamento delle strutture pubbliche danneggiate”. Quel piano che riprende anche quello a suo tempo preparato dalla precedente amministrazione, lo si deve al lavoro assiduo e certosino dell’assessore Antonino Strano. Tuttavia, a proposito del Piano di rientro, mi corre l’obbligo di deplorare l’ostruzionismo della minoranza consiliare. Voglio ricordare che il terremoto è stato ed è un dramma di tutta la cittadinanza e la ricostruzione non è, né può essere un “affare di pochi”.
La Regione ha dato una prima trance di fondi per la riparazione e pur avendo stipulato i mutui autorizzati dallo Stato non ha, a tutt’oggi, erogato fondi per la ricostruzione. Deve, la Regione, provvedere alla cosiddetta microzonizzazione. In più, c’è da affrontare il problema dei danni alle strutture agricole.
“Va detto che la Protezione Civile sta già lavorando alla microzonizzazione - continua il Sindaco -. Completata quest’opera, sarà affrontato appunto, il problema ricostruzione. In quella sede il Presidente Cuffaro, sarà chiamato in causa per mantenere le promesse fatte. Infine, per quel che riguarda le opere agricole, stiamo inviando al Ministro dell’Agricoltura Alemanno una relazione sui danni alle strutture agricole. Il Ministro ci ha promesso il suo intervento, sia a carico del suo ministero, sia richiedendo, se è il caso, l’intervento della Comunità Europea. Ritengo che sarebbe estremamente ingiusto che centinaia e centinaia di ettari di terreno agricolo, nello stesso momento in cui l’agricoltura sembra sollevarsi dalla sua cronica crisi, debbano restare incolti, disperdendo, in tal modo, un’attività economica e le competenze professionali della forza lavoro del mondo agricolo. Voglio anche ricordare in proposito quanto ho avuto modo di dire in precedenza sulla opportunità associativa della “Strada dei Vini”. Quella associazione rappresenta, a mio parere, un’occasione unica per la riconversione dei terreni a favore dei vigneti. Il recupero delle nostre “terrazze”, ora sconvolte dal terremoto, rappresenta un’opportunità doppia per la nostra economia, ai fini di una produzione elitaria di vini eccellenti e per la speciale attrattiva, per l’impatto che producono sul turismo, territori tipici ed unici della zona etnea”.

 

IL PARCO DEI COSENTINI

 

La storia del Parco di Cosentini si è arricchita, negli ultimi tempi, di alcune pagine che potranno dare una svolta alla sua fruizione. Il processo di valorizzazione dell’area verde della frazione di Santa Venerina, infatti, registra l’esecuzione dei lavori per l’area attrezzata e la nascita di una cooperativa per lo sviluppo turistico dell’area verde.
Grazie all’intervento dell’associazione ambientalista Gruppi ricerca ecologica, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Santa Venerina, il Parco è stato negli ultimi anni riscoperto, studiato e valorizzato. Riconosciuto il valore ambientale, il Parco è stato inserito nell’elenco delle aree protette dal Ministero dell’Ambiente. Anzi, quello di Cosentini è stato il primo “parco urbano” della Sicilia.
Ora sarà la cooperativa Bios, “figlia” dei Gre, a puntare sul turismo utilizzando a vantaggio dell’area le specifiche linee di finanziamento, nell’intento di qualificare il Parco di Cosentini con tutte quelle strutture che possano rendere ancora più interessanti le visite. “Nostro intendimento è quello di valorizzare al massimo il Parco - spiega l’assessore all’Ecologia, Nino Strano - facendone meta anche di picnic, escursioni ecologiche ed altre iniziative. Vorremmo portarlo a conoscenza delle strutture scolastiche proponendolo ai ragazzi come meta per visite didattiche. E stiamo pensando di riproporre all’interno del Parco la rappresentazione del presepe vivente, che tanto successo ha avuto nel 2001. Intanto, nel giro di alcune settimane, saranno ultimati i lavori finanziati dalla Provincia regionale di Catania per l’allestimento dell’area attrezzata”. Quest’ultimo progetto interessa un’estensione di diverse centinaia di metri quadrati e prevede la realizzazione di una recinzione in legno, un cordolo in pietra lavica, barbecue in muratura, gazebo e panchine in legno. È prevista, inoltre, una copertura di graniglia lavica, per garantire maggiore praticabilità e sicurezza ai visitatori.

 

NEL MUSEO DI DON SARO

 

Sembrerebbe una favola in chiave moderna quella del professore Antonino Mangano (nella foto), catanese doc, il quale, dopo la sua adozione da parte dello zio ”don Saro Giuffrida” (dell’omonima dinastia dei distillatori, morto nel 1981, senza figli), ne ha ereditato, assieme al fratello, i beni ed anche il cognome.
Don Saro Giuffrida, com’era affettuosamente chiamato dai suoi paesani, fu industriale dell’alcool (che si estraeva dal vino, dalle vinacce ed anche dalle carrube) ed anche sindaco di Santa Venerina intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Nel suo nome si ricorda una celebre battaglia politica per la conquista della amministrazione del Comune con una lista civica che aveva come simbolo il pennuto re dei pollai: la lista del “Gallo”.
Quella lista, a suo tempo fece molto scalpore perché don Saro, anche se uomo vivace e battagliero, era anche industriale, ricco e benestante e per tal motivo lo si riteneva uomo più di centro, se non di destra. Ed invece, proprio lui mise assieme il primo schieramento progressista del dopoguerra vincendo le elezioni. Pur felicemente sposato, però, don Saro non aveva figli. Da qui la decisione, in età matura, di adottare i figlioli, Antonino e Giuseppe, del cognato che di cognome faceva Mangano. Antonino, proprio lui, il professore di matematica ha preso così, anche il cognome dello zio, e ora fa Mangano Giuffrida.
Cinquantasette anni, laurea in matematica e relativa cattedra - dal 1968 al 1996 - all’Istituto Tecnico Industriale Archimede di Catania, il professore Antonino Mangano Giuffrida è stato anche preside incaricato all’Istituto Cristoforo Colombo, nonché presidente di commissione per il concorso a cattedra.
Sposato con Lucia Di Caro e padre di due figli maschi, dal primo settembre del ’96, dopo ventotto anni d’insegnamento e 32 di contributi pensionistici accumulati con il riconoscimento degli studi universitari, il professore ha lasciato il mondo della scuola.
Ha lasciato anche Catania, trasferendosi a vivere, assieme alla moglie, a Santa Venerina, nel bellissimo palazzo che fu appunto dello zio Saro, che domina la collina sul versante di nord-est all’estremità del paese, sulla strada che si dirige verso Giarre.
Il palazzo di don Saro Giuffrida comprendeva e comprende ancora, oltre all’abitazione, situata al piano elevato, al piano terra, il suo “stabilimento”: la famosa “Distilleria d’alcole del Cav. Rosario Giuffrida”. Come stava scritto nella tabella che incorniciava il grande portone, in lamiera di ferro, all’ingresso. La scelta del professor Antonino Mangano Giuffrida è stata, sì un atto di fede, ma anche una scelta di vita, perchè quel palazzo e lo “stabilimento” sono un pezzo di storia di Santa Venerina.
Di primo impatto egli s’è trovato a dover restaurare l’abitazione, la quale accusava ormai il peso degli anni. Successivamente egli ha fatto qualcosa che nessuno si sognava di fare.
Lavorando personalmente di gomito, come un qualsiasi operaio, con l’aiuto di Salvatore Bonanno, uno degli operai che a suo tempo lavorarono e collaborarono con il cav. Rosario nell’impianto di distillazione, ha restaurato l’antica distilleria.
Certamente, non per recuperarla alla produzione, perché l’impianto è obsoleto. Bensì perchè resti una testimonianza di quello che faceva suo zio e di quello che si produceva a Santa Venerina fin dalla fine dell’ottocento.
Infatti, fra la fine ottocento e per tutta la prima metà del novecento, fino a quando il regime fascista non mise sotto ferreo controllo la distillazione, in tutte le case, o quasi, si distillavano i vini che andavano a male e con l’alcole, oltre ad avere materia utile per le disinfezioni, si preparavano liquori e brandy assai migliori di quelli che si producevano in alta Italia ed in Francia. E Santa Venerina era sì, un piccolo centro contadino, ma era anche un centro industriale.
I Giuffrida avevano due grandi stabilimenti di distillazione, uno ciascuno ne avevano i Fichera, i Caffo e i Russo. L’alcole puro prodotto qui, riforniva, in tutta Italia, le più grandi ditte che producevano i vermouth ed i brandy più famosi. Gli stessi Giuffrida, oltre all’alcole puro, all’etilico, imbottigliavano brandy che hanno segnato un’epoca in tutta Italia.
In quegli stabilimenti si lavorava per tutto l’anno. Si lavoravano le vinacce residuate dalla vendemmia, le fecce di vino ed anche le carrube. Tranne il vino, le vinacce residuate dalle vendemmie, le fecce, le carrube, nell’impianto di distillazione venivano immesse in grandi vasche piene d’acqua a macerare.
Dalle vasche, quando il materiale diventava “maturo” con la trasformazione degli zuccheri, veniva immesso nelle alte e grandi “colonne di distillazione” in rame, dove, con un complicato impianto di riscaldamento, portato a temperatura di ebollizione e attraverso i successivi passaggi nelle varie colonne e attraverso serpentine, i vapori dell’alcole venivano raffreddati e indirizzati ai contenitori finali.
L’impianto di distillazione fatto di tre alte e larghe canne di rame, con un altissimo fumaiolo - è la caratteristica ambientale nel territorio di Santa Venerina - nella parte più alta, a sovrastare i tetti della “fabbrica”, per disperdere nell’aria i vapori, era stato costruito da artigiani locali, ma aveva tutti i requisiti per dare il massimo rendimento.
Ora quell’impianto, anzi lo “stabilimento” è diventato un museo: il museo della distillazione. Aperto alle visite di coloro che bussano al grande portone di via Stabilimenti.


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