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Il sindaco Antonino Ferlito
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L’Eno Etna, la bella manifestazione dedicata ai
vini, etnei e siciliani d’eccellenza, all’agro-alimentare,
ai prodotti dello artigianato tipico, cui si sono aggiunti in questa edizione,
l’olio e il miele, la gastronomia tipica della vendemmia e gli assaggi
di mostarde, dolci, gelati al sapore di carruba e le ricotte calde, è
arrivata quest’anno all’ottava edizione. Un’edizione
che ha avuto diverse novità, nonostante le vicissitudini del paese:
dalla apprezzata mostra dei carretti siciliani d’epoca, alle ancora
più apprezzate manifestazioni della gastronomia della vendemmia,
e particolare nuovo ma estremamente qualificante, l’esposizione
allargata alla partecipazione degli artigiani “maestri fabbri”.
Sono mancati gli artigiani del legno che assieme agli artisti della maiolica
avrebbero potuto completare il quadro delle attività varie cui
si dedicano gli abitanti di Santa Venerina. In ogni caso è stata
una manifestazione confortata da un successo certamente superiore a quello
degli anni passati.
“Grazie, all’impegno del neo assessore Salvo Musumeci”
- spiega il sindaco Antonino Ferlito (nella foto) - la macchina della
manifestazione si è messa in moto, raggiungendo splendidamente
la meta. Va ricordato, tuttavia che Santa Venerina era una cittadina ferita.
Il terremoto del 29 ottobre del 2002 ha lacerato profondamente il tessuto
urbano distruggendo interi quartieri. Pesantissimi i danni: al patrimonio
religioso, visto che i due maggiori templi della cittadina, Sacro Cuore
e Bongiardo, sono tuttora inagibili; a quello pubblico, municipio e scuole.
Ancora più pesanti i problemi degli abitanti, di tutti quelli che
sono stati costretti a lasciare la propria abitazione resa inagibile dal
sisma. Malgrado la disastrosa situazione, ci siamo mossi perché
bisognava dare ai cittadini un segnale forte e positivo. L’Eno Etna,
in questo senso, è stato il primo segnale forte per tentare la
strada del rientro alla normalità. E la risposta è stata
altrettanto forte perché abbiamo potuto misurare che, nella cittadina,
c’è una voglia di fare ed essere presenti, produrre”.
Il nodo centrale resta comunque la ricostruzione post terremoto, chiediamo.
“La ricostruzione resta certamente il problema centrale perché
la gente ha bisogno di tornare nelle proprie case e alle attività
di sempre. Ritengo sia significativo che, nel celebrare il primo anniversario
del terremoto, ad appena cinque mesi dalle elezioni, siamo riusciti a
consegnare ai nostri concittadini i primi “Buoni-contributo”
per la riparazione delle loro case. Così come è significativo
che nel mese di novembre saranno pagati altri tre mesi del “contributo
per l’autonoma sistemazione”. Ci stiamo muovendo bene e con
efficacia e lo dimostra l’approvazione data dal Consiglio comunale,
grazie all’abilità politica del suo Presidente, Giuseppe
Patanè, al “Piano di rientro nell’ordinario e per la
ricostruzione, riparazione e adeguamento delle strutture pubbliche danneggiate”.
Quel piano che riprende anche quello a suo tempo preparato dalla precedente
amministrazione, lo si deve al lavoro assiduo e certosino dell’assessore
Antonino Strano. Tuttavia, a proposito del Piano di rientro, mi corre
l’obbligo di deplorare l’ostruzionismo della minoranza consiliare.
Voglio ricordare che il terremoto è stato ed è un dramma
di tutta la cittadinanza e la ricostruzione non è, né può
essere un “affare di pochi”.
La Regione ha dato una prima trance di fondi per la riparazione e pur
avendo stipulato i mutui autorizzati dallo Stato non ha, a tutt’oggi,
erogato fondi per la ricostruzione. Deve, la Regione, provvedere alla
cosiddetta microzonizzazione. In più, c’è da affrontare
il problema dei danni alle strutture agricole.
“Va detto che la Protezione Civile sta già lavorando alla
microzonizzazione - continua il Sindaco -. Completata quest’opera,
sarà affrontato appunto, il problema ricostruzione. In quella sede
il Presidente Cuffaro, sarà chiamato in causa per mantenere le
promesse fatte. Infine, per quel che riguarda le opere agricole, stiamo
inviando al Ministro dell’Agricoltura Alemanno una relazione sui
danni alle strutture agricole. Il Ministro ci ha promesso il suo intervento,
sia a carico del suo ministero, sia richiedendo, se è il caso,
l’intervento della Comunità Europea. Ritengo che sarebbe
estremamente ingiusto che centinaia e centinaia di ettari di terreno agricolo,
nello stesso momento in cui l’agricoltura sembra sollevarsi dalla
sua cronica crisi, debbano restare incolti, disperdendo, in tal modo,
un’attività economica e le competenze professionali della
forza lavoro del mondo agricolo. Voglio anche ricordare in proposito quanto
ho avuto modo di dire in precedenza sulla opportunità associativa
della “Strada dei Vini”. Quella associazione rappresenta,
a mio parere, un’occasione unica per la riconversione dei terreni
a favore dei vigneti. Il recupero delle nostre “terrazze”,
ora sconvolte dal terremoto, rappresenta un’opportunità doppia
per la nostra economia, ai fini di una produzione elitaria di vini eccellenti
e per la speciale attrattiva, per l’impatto che producono sul turismo,
territori tipici ed unici della zona etnea”.
IL PARCO DEI COSENTINI
La storia del Parco di Cosentini si è arricchita, negli
ultimi tempi, di alcune pagine che potranno dare una svolta alla
sua fruizione. Il processo di valorizzazione dell’area verde
della frazione di Santa Venerina, infatti, registra l’esecuzione
dei lavori per l’area attrezzata e la nascita di una cooperativa
per lo sviluppo turistico dell’area verde.
Grazie all’intervento dell’associazione ambientalista
Gruppi ricerca ecologica, in collaborazione con l’amministrazione
comunale di Santa Venerina, il Parco è stato negli ultimi
anni riscoperto, studiato e valorizzato. Riconosciuto il valore
ambientale, il Parco è stato inserito nell’elenco
delle aree protette dal Ministero dell’Ambiente. Anzi, quello
di Cosentini è stato il primo “parco urbano”
della Sicilia.
Ora sarà la cooperativa Bios, “figlia” dei
Gre, a puntare sul turismo utilizzando a vantaggio dell’area
le specifiche linee di finanziamento, nell’intento di qualificare
il Parco di Cosentini con tutte quelle strutture che possano rendere
ancora più interessanti le visite. “Nostro intendimento
è quello di valorizzare al massimo il Parco - spiega l’assessore
all’Ecologia, Nino Strano - facendone meta anche di picnic,
escursioni ecologiche ed altre iniziative. Vorremmo portarlo a
conoscenza delle strutture scolastiche proponendolo ai ragazzi
come meta per visite didattiche. E stiamo pensando di riproporre
all’interno del Parco la rappresentazione del presepe vivente,
che tanto successo ha avuto nel 2001. Intanto, nel giro di alcune
settimane, saranno ultimati i lavori finanziati dalla Provincia
regionale di Catania per l’allestimento dell’area
attrezzata”. Quest’ultimo progetto interessa un’estensione
di diverse centinaia di metri quadrati e prevede la realizzazione
di una recinzione in legno, un cordolo in pietra lavica, barbecue
in muratura, gazebo e panchine in legno. È prevista, inoltre,
una copertura di graniglia lavica, per garantire maggiore praticabilità
e sicurezza ai visitatori.
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NEL MUSEO DI DON
SARO
Sembrerebbe una favola in chiave moderna quella del professore
Antonino Mangano (nella foto), catanese doc, il quale, dopo la
sua adozione da parte dello zio ”don Saro Giuffrida”
(dell’omonima dinastia dei distillatori, morto nel 1981,
senza figli), ne ha ereditato, assieme al fratello, i beni ed
anche il cognome.
Don Saro Giuffrida, com’era affettuosamente chiamato dai
suoi paesani, fu industriale dell’alcool (che si estraeva
dal vino, dalle vinacce ed anche dalle carrube) ed anche sindaco
di Santa Venerina intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Nel suo nome si ricorda una celebre battaglia politica per la
conquista della amministrazione del Comune con una lista civica
che aveva come simbolo il pennuto re dei pollai: la lista del
“Gallo”.
Quella lista, a suo tempo fece molto scalpore perché don
Saro, anche se uomo vivace e battagliero, era anche industriale,
ricco e benestante e per tal motivo lo si riteneva uomo più
di centro, se non di destra. Ed invece, proprio lui mise assieme
il primo schieramento progressista del dopoguerra vincendo le
elezioni. Pur felicemente sposato, però, don Saro non aveva
figli. Da qui la decisione, in età matura, di adottare
i figlioli, Antonino e Giuseppe, del cognato che di cognome faceva
Mangano. Antonino, proprio lui, il professore di matematica ha
preso così, anche il cognome dello zio, e ora fa Mangano
Giuffrida.
Cinquantasette anni, laurea in matematica e relativa cattedra
- dal 1968 al 1996 - all’Istituto Tecnico Industriale Archimede
di Catania, il professore Antonino Mangano Giuffrida è
stato anche preside incaricato all’Istituto Cristoforo Colombo,
nonché presidente di commissione per il concorso a cattedra.
Sposato con Lucia Di Caro e padre di due figli maschi, dal primo
settembre del ’96, dopo ventotto anni d’insegnamento
e 32 di contributi pensionistici accumulati con il riconoscimento
degli studi universitari, il professore ha lasciato il mondo della
scuola.
Ha lasciato anche Catania, trasferendosi a vivere, assieme alla
moglie, a Santa Venerina, nel bellissimo palazzo che fu appunto
dello zio Saro, che domina la collina sul versante di nord-est
all’estremità del paese, sulla strada che si dirige
verso Giarre.
Il palazzo di don Saro Giuffrida comprendeva e comprende ancora,
oltre all’abitazione, situata al piano elevato, al piano
terra, il suo “stabilimento”: la famosa “Distilleria
d’alcole del Cav. Rosario Giuffrida”. Come stava scritto
nella tabella che incorniciava il grande portone, in lamiera di
ferro, all’ingresso. La scelta del professor Antonino Mangano
Giuffrida è stata, sì un atto di fede, ma anche
una scelta di vita, perchè quel palazzo e lo “stabilimento”
sono un pezzo di storia di Santa Venerina.
Di primo impatto egli s’è trovato a dover restaurare
l’abitazione, la quale accusava ormai il peso degli anni.
Successivamente egli ha fatto qualcosa che nessuno si sognava
di fare.
Lavorando personalmente di gomito, come un qualsiasi operaio,
con l’aiuto di Salvatore Bonanno, uno degli operai che a
suo tempo lavorarono e collaborarono con il cav. Rosario nell’impianto
di distillazione, ha restaurato l’antica distilleria.
Certamente, non per recuperarla alla produzione, perché
l’impianto è obsoleto. Bensì perchè
resti una testimonianza di quello che faceva suo zio e di quello
che si produceva a Santa Venerina fin dalla fine dell’ottocento.
Infatti, fra la fine ottocento e per tutta la prima metà
del novecento, fino a quando il regime fascista non mise sotto
ferreo controllo la distillazione, in tutte le case, o quasi,
si distillavano i vini che andavano a male e con l’alcole,
oltre ad avere materia utile per le disinfezioni, si preparavano
liquori e brandy assai migliori di quelli che si producevano in
alta Italia ed in Francia. E Santa Venerina era sì, un
piccolo centro contadino, ma era anche un centro industriale.
I Giuffrida avevano due grandi stabilimenti di distillazione,
uno ciascuno ne avevano i Fichera, i Caffo e i Russo. L’alcole
puro prodotto qui, riforniva, in tutta Italia, le più grandi
ditte che producevano i vermouth ed i brandy più famosi.
Gli stessi Giuffrida, oltre all’alcole puro, all’etilico,
imbottigliavano brandy che hanno segnato un’epoca in tutta
Italia.
In quegli stabilimenti si lavorava per tutto l’anno. Si
lavoravano le vinacce residuate dalla vendemmia, le fecce di vino
ed anche le carrube. Tranne il vino, le vinacce residuate dalle
vendemmie, le fecce, le carrube, nell’impianto di distillazione
venivano immesse in grandi vasche piene d’acqua a macerare.
Dalle vasche, quando il materiale diventava “maturo”
con la trasformazione degli zuccheri, veniva immesso nelle alte
e grandi “colonne di distillazione” in rame, dove,
con un complicato impianto di riscaldamento, portato a temperatura
di ebollizione e attraverso i successivi passaggi nelle varie
colonne e attraverso serpentine, i vapori dell’alcole venivano
raffreddati e indirizzati ai contenitori finali.
L’impianto di distillazione fatto di tre alte e larghe canne
di rame, con un altissimo fumaiolo - è la caratteristica
ambientale nel territorio di Santa Venerina - nella parte più
alta, a sovrastare i tetti della “fabbrica”, per disperdere
nell’aria i vapori, era stato costruito da artigiani locali,
ma aveva tutti i requisiti per dare il massimo rendimento.
Ora quell’impianto, anzi lo “stabilimento” è
diventato un museo: il museo della distillazione. Aperto alle
visite di coloro che bussano al grande portone di via Stabilimenti.
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