ANNUARIO 2001
EDITORIALE

Il film del terzo millennio

di
Sergio Regalbuto

 

Ho inseguito quotidianamente (ma forse fino ai vent'anni poi, inutilmente, ho cercato di tirare le redini del tempo…) l'attimo in cui avrei scritto "i miei primi quarant'anni". Non ambivo certo a parafrasare o a copiare in alcun modo la bella e voluttuosa Marina Ripa di Meana, già autrice in tal senso. Ma cercavo soltanto di immaginare, ancora ragazzo, se e come sarei arrivato agli "anta" che mi avrebbero proiettato proprio all'alba del nuovo millennio. Allora, ricordo, si parlava di fantascienza, di incontri con gli extraterrestri, di marziani che sarebbero venuti ad invadere il nostro pianeta. E ci si chiedeva cosa avrebbero portato: distruzione e morte o progresso e fratellanza. Certo, comunque, il terzo millennio ci avrebbe insegnato molte cose. "I miei primi quarant'anni" hanno visto un'alba uggiosa. Ed il tempo non sembra prospettare il sereno. Mai e poi mai nessuno avrebbe pensato che con il 2001 sarebbero entrati nell'uso quotidiano termini poco noti come carbonchio o antrace. Bisogna farsi una cultura, è vero. Ma credo che tutti avremmo preferito conoscere altri vocaboli e vivere film virtuali piuttosto che terrificanti realtà. Fa un certo effetto aprire gli occhi, svegliarsi, e trovare l'incubo. E, subito, analizzare se lo stai vivendo o lo stai sognando. Poi, diventa traumatico rendersi conto che la realtà supera ogni steccato della più fluida, seppur inconscia, immaginazione. Vivere come in un film. Ma, stavolta, vero, concreto, agghiacciante. Un flash mi ha svegliato dalla pur breve pennichella pomeridiana, rigidamente goduta con la televisione accesa.

Quel lampo arrivava proprio dal piccolo schermo che annunciava una tragedia infinitamente grande per il mondo. Gli occhi ancora socchiusi si sono sgranati d'improvviso. Ma l'immagine di un aereo di linea che si schianta contro una delle due torri gemelle di New York mi sembra ancora un "disastro" surreale. Ho appena 18 minuti per rendermi conto che non sto sognando. Giusto il tempo di rivedere la scena. Anzi, no. È un nuovo "disastro". E stavolta realizzo che non sto sognando. Che i miei occhi sono davvero spalancati sul mondo. Ma quale? Probabilmente quello dei film. Già non può essere altro. Sarà certamente un film. Ora ricordo, probabilmente "Indipendence day". O, forse, si tratta di una riedizione di "Star Wars". Sono lento a capire che ho appena assistito "in diretta" ad un attacco terroristico all'America. Ad una sfida al mondo. Alla strategia della destabilizzazione. Forse siamo stati tutti un po' lenti a percepire cosa ci stava accadendo attorno. Primi fra tutti, coloro che erano e sono preposti alla sicurezza degli States e dell'intero pianeta. L'F.B.I. e la C.I.A., ignoranti dell'esistenza di un "esercito" di kamikaze che da mesi, probabilmente da anni, si stava addestrando per portare a compimento un attentato senza precedenti. Migliaia d'agenti segreti, d'infiltrati, tutta l'intelligence americana, non sono stati sufficienti a percepire movimenti e minacce che arrivavano dagli estremisti. Arroganza, spocchia, la convinzione d'essere troppo forti per subire un attacco al cuore economico-militare e delle istituzioni. O forse qualcosa di più… E che dire dei tempi di "reazione" del Pentagono. Più aerei dirottati contemporaneamente; uno si scaglia contro il primo grattacielo a Manhattan; altri, con improvvise virate fuori rotta, si dirigono su obiettivi strategici dando anche il tempo ai passeggeri di chiamare parenti ed amici col cellulare per segnalare quanto sta accadendo e lanciare l'ultimo saluto. E dal massimo organismo di difesa della maggiore potenza militare del mondo non scatta la reazione immediata che impedisce ad un altro aereo di "sventrare" il secondo grattacelo di Manhattan; 18 minuti, tra il primo ed il successivo schianto contro le due torri.

Tanti ne sono passati di minuti, affinché io capissi che vivevo una cruenta realtà anziché un sogno. Tanti ne sono bastati di minuti per denunciare l'imperdonabile sonnolenza dei vertici militari americani. Lo schiaffo alla "difesa mondiale", con il terzo aereo sul Pentagono a Washington ha completato il quadro dell'inefficienza. Un quarto aereo, forse diretto contro la casa Bianca, certamente contro Bush, si schianta prima di raggiungere qualunque altro bersaglio. Non si saprà mai, quasi certamente, se i caccia statunitensi hanno trovato un'impennata di reattività per levarsi in volo… o se i passeggeri a bordo di quest'altro aereo di linea si sono sacrificati, da eroi, per annientare i terroristi… Certo, adesso, non è il nodo principale da sciogliere. Ora è tempo di svegliarsi dal letargo e di guardare in faccia la realtà. Le migliaia di morti americani devono far riflettere, occorre che ci uniscano. Tutti, ad ogni livello ed in ogni angolo del mondo. I tre minuti di religioso silenzio che sono stati rispettati tre giorni dopo il vile attentato dell'11 settembre scorso, rilanciano il senso di solidarietà. È il caso di agire sinergicamente, senza alcun tipo di tentennamento che può apparire strumentale. Non solo. Ma che può dar adito a segnali di fratture e debolezze. Patologie che alimentano anche devianze estreme come il terrorismo. Non facciamoci, però, trascinare soltanto da emozioni forti e d'impatto. Da tragedie immani e violente. La quotidianità, è vero, ci offre sofferenze altrettanto atroci. Basta solo guardarla, scrutarla con gli occhi sgranati. Per capire che, in molti angoli di mondo, c'è chi vive la quotidianità di un incubo. Oggi, i vocaboli del tipo carbonchio e antrace o il nome talebano sono di uso comune e fanno paura. Ma non sono quelli che volevamo apprendere come fondamentali del terzo millennio. Quanto vorremmo incontrare i marziani…

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