L'Annuario
Legalità
La forza di dire: “Addiopizzo”
Aumentano le denunce contro il racket, ma neppure la forza corale serve a piegare del tutto la prepotenza degli estorsori. Qualcosa si muove, però. Le manette, recentemente, a Palermo sono scattate ai polsi del “re del pizzo”, Enrico Scalavino. Ma, nonostante gli appelli, gli intendimenti, le proposte di Confindustria, la criminalità con le intimidazioni continua ad imporre le sue leggi, specie in città chiave come Gela, dove il sindaco Crocetta ha sposato la proposta dell’intervento dell’esercito.
Il pizzo in Sicilia garantisce alle cosche un “gettito” che solo a Palermo può essere calcolato in 175 milioni di euro. L’imposizione media del pagamento è di oltre 800 euro al mese. A fare il rendiconto della ricaduta economica delle attività di Cosa Nostra, ha pensato la fondazione Rocco Chinnici che ha tempo addietro promosso uno studio sui “costi dell’illegalità”. Dallo studio è emerso che chi paga meno agli esattori delle cosche sono i dettaglianti del commercio, che versano in media 457 euro al mese. Per i commercianti all’ingrosso la cifra sale a 508 euro al mese. Più su, nella piramide del pizzo si trovano alberghi e ristoranti, che solitamente erogano 578 euro al mese. Il massimo spetta al settore delle costruzioni, che ai cravattari paga una percentuale commisurata all’importo dell’appalto ma che s’attesta, in media, tra il 2 e il 4%. In cifre, un obolo alle cosche pari, più o meno, a 2.534 euro al mese.
Dopo i fatti di Caltanissetta e Catania, soprattutto dopo la reazione dell’imprenditore Andrea Vecchio, alle forze dell’ordine sono arrivate un crescente numero di denunce: a Catania 28 in poche settimane, a settembre, mentre da gennaio ad agosto erano state in tutto sedici. Lo ha reso noto, nel corso di una conferenza stampa, il questore di Catania Michele Capomacchia che ha illustrato i risultati di una vasta operazione di controllo del territorio: “Sicuramente - ha commentato Capomacchia - la presa di posizione dell’imprenditore Vecchio è stata decisiva. Inoltre ho la sensazione che l’impegno delle forze dell’ordine abbia dato una ulteriore spinta alla gente”.
Il prefetto di Catania Annamaria Cancellieri, dopo gli attentati perpetrati ai danni di Vecchio, ha detto: ‘’Noi vogliamo una crescita piu’ forte di coscienza collettiva. Siamo molto grati al geometra Vecchio per il coraggio che ha avuto, ma non vogliamo che resti una mosca bianca. Vogliamo piuttosto che cresca la cultura della legalita’ e la cultura dell’orgoglio del cittadino che non subisce soprusi’’.
Diverso il discorso a Palermo nonostante il coraggio dei fratelli Continello dell’Antica Focacceria, ormai divenuta luogo simbolo del NO al racket: da una statistica aggiornata al settembre scorso, negli ultimi nove mesi a Palermo sono stati in 15 a denunciare una richiesta di pizzo. Nemmeno l’uno per cento degli operatori economici della città. Erano state 22 nel 2004 le denunce, 23 nel 2005, 40 nel 2006.
“Confindustria Sicilia ha scelto di contrastare il racket delle estorsioni e di aiutare gli associati a ribellarsi a Cosa Nostra, fino all’espulsione di chi non decide di stare dalla parte della legalità. Si tratta di una strategia condivisa da tutte le associazioni provinciali”. Con fermezza lo ha più volte ribadito il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. “È necessaria però una continuità nella lotta al racket del pizzo, non bastano solo le sanzioni agli imprenditori vittime di Cosa Nostra. Noi saremo rigorosi perché vogliamo allungare la lista di coloro che denunciano il pizzo” e sull’ipotesi dell’esercito in Sicilia: “Abbiamo piena fiducia nelle forze dell’ordine siciliane, che sono un pilastro della nostra società. Non dimentichiamo che negli ultimi tempi la mafia, non solo a Palermo, ha subito colpi importanti”.
C’è anche un piano d’azione comune di Confindustria Sicilia e della Federazione antiracket italiana per combattere insieme il fenomeno delle estorsioni:
“Integrare il codice etico di Confindustria con l’espulsione di chi paga il pizzo e non denuncia gli estorsori - si legge in un comunicato - non vuol dire criminalizzare gli associati vessati dal racket né redigere liste di proscrizione. L’obiettivo è quello di aiutare gli associati a non pagare più. Da qui l’iniziativa che intende incentivare la collaborazione con le forze dell’ordine attraverso l’assistenza delle associazioni. Non vogliamo perdere associati. Se espelleremo cinquanta imprese, avremo fallito. Se invece riusciremo ad aiutare cinquanta imprese a non pagare più il pizzo, avremo raggiunto il nostro obiettivo. Fermo restando il concreto principio della totale incompatibilità fra l’appartenenza a Confindustria e qualsiasi comportamento remissivo o collusivo con mafia e racket”.
Confindustria Sicilia e Fai (questi ultimi, con il presidente onorario Tano Grasso ed il presidente Pippo Scandurra) plaudono all’idea di accogliere nel “pacchetto sicurezza” la proposta di assegnare un tutor agli imprenditori italiani ed esteri che decidano di investire in Sicilia nell’ambito di un protocollo di legalità fra l’azienda e le istituzioni. “Nel ’91 - è il commento Tano Grasso - Davide Grassi disse “chi paga il pizzo ha pagato la pallottola che ha ucciso mio padre”. A sedici anni di distanza, dopo pure l’arresto di Provenzano, assistiamo ad un intensificarsi dell’aggressione mafiosa e, contemporaneamente, ad una rivoluzione copernicana di Confindustria che si lega alla diffusione delle associazioni antiracket, al varo della Legge 44 sui risarcimenti (che funziona bene e rapidamente) ed al grandissimo contributo del movimento ‘Addiopizzo’. C’è la possibilità che finalmente qualcosa cambi”.