L'Annuario
Tecnologie
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di Enrico Escher
Non sempre è facile capire come ed in che misura la tecnologia sia in grado di cambiare la nostra vita e le nostre abitudini. Chi, per esempio, sarebbe stato capace di prevedere che uno strumento nato e sviluppatosi per la comunicazione orale sarebbe diventato, ai giorni nostri, non solo mezzo di comunicazione scritta ma anche di una potenza tale da rivoluzionare linguaggi e modi di esprimersi. Parliamo naturalmente del telefono, della sua evoluzione in telefono mobile, della progressiva affermazione degli short messages, gli sms, prima, gli mms adesso.
Dalla parola detta, insomma, a quella scritta, per finire alle immagini. Una rivoluzione silenziosa che però si è ormai radicata ad un punto tale che sarebbe impossibile pensare di tornare indietro.
Una descrizione esemplare della sorpresa provata davanti a questa inattesa novità ce la fornisce, per esempio, Howard Rheinghold.
“I primi segnali del cambiamento incominciarono a rivelarsi in un pomeriggio primaverile dell’anno 2000. Fu quando iniziai a notare che le persone nelle vie di Tokyo guardavano i loro telefoni cellulari, invece di parlarci. Assistere a questo comportamento, ora abituale in gran parte del mondo, mi procurò una sensazione che avevo provato poche volte prima di allora: la consapevolezza immediata che la tecnologia stava per cambiare la mia vita in modi che riuscivo appena ad immaginare. Da allora, l’abitudine di scambiarsi brevi messaggi di testo attraverso i cellulari ha portato alla nascita di sottoculture sia in Europa sia in Asia. Almeno un governo è caduto, in parte a causa del modo in cui le persone hanno fatto uso di tali messaggi. I rituali di corteggiamento degli adolescenti, l’attivismo politico e lo stile della gestione delle imprese si sono modificati in maniera inaspettata”.
L’esempio del telefono ci aiuta a comprendere le insospettabili variazioni che la rivoluzione digitale è in grado di operare, trasformando radicalmente la natura stessa del medium interessato. Anche se questo potrebbe non richiedere tempi brevi.
“In questo processo è importante distinguere una prospettiva di lungo periodo da un’analisi di breve periodo. Nell’arco di qualche decina d’anni assisteremo a trasformazioni radicali di tutti i mezzi di comunicazione quali noi li conosciamo e a ridefinizioni profonde dei confini concorrenziali. Vi saranno probabilmente reti diverse, alcune specializzate per tipologie di servizio o per utenti, alcune più generaliste, in concorrenza tra loro. Il confine tra l’attività di trasporto, tipica delle attuali telecomunicazioni, e la fornitura di contenuti, tipica dei mass media, sarà molto sfumato. Il grado di interattività delle informazioni sarà molto elevato e mezzi attualmente marginali potranno avere un ruolo significativo. Questo non significa però che tutte le innovazioni legate a quell’ipotetico scenario siano realizzabili nel breve periodo”.
Detto ciò, possiamo chiederci se, così come avvenuto con il telefono, sia possibile allora immaginare che qualcosa del genere possa avvenire anche con la televisione? E’ possibile, in altre parole, ipotizzare che il mezzo di comunicazione di massa mainstream per eccellenza del nostro tempo si avvii ad un futuro più complesso e diversificato, acquistando un ruolo diverso, centrale e positivo, nel rapporto tra il telespettatore/cittadino e la società in cui è inserito?
Una sfida difficile ma possibile. Ma soprattutto in grado di liberare la televisione da quel ruolo di cattiva maestra nel quale la vecchia tv analogica, la tv dei palinsesti, la tv generalista sembra ormai definitivamente impantanata. Non più medium zero, ma medium di comunità.
Una opportunità che viene offerta grazie alla transizione, ormai definita per legge, dalla tv analogica al Digitale terrestre (DTT). Vedremo più in avanti come questo sarà possibile, sviluppando sul televisore di casa servizi di T-government e T-democracy.
Riportando, per così dire, il telespettatore isolato in casa, seduto sul divano e sfuggito alle responsabilità di cittadino, al suo ruolo sociale, di membro di una comunità in grado di intervenire sulle scelte politiche e amministrative, non più soltanto pubblico ed audience, ma attore consapevole.
Non è questo il luogo per riproporre il dibattito, ricchissimo, sugli effetti della televisione. Né analizzare la sua influenza sull’opinione pubblica.
La Tv presenta, in effetti, un’ambiguità di fondo: da una parte essa sembra seguire l’interesse del pubblico; dall’altra, è la stessa Tv a dettare legge su cosa meriti attenzione e cosa no. Anzi, essa non si limita a suggerire, ma realizza nei fatti questa selezione. E la selezione si realizza sia a carico di ciò che viene comunicato, a carico cioè dell’informazione, sia a carico di ciò che viene compreso.
In consuntivo, dunque, l’immagine del villaggio globale creato dai media è ingannevole: è vero che i media creano un’informazione sempre più vasta, onnicomprensiva, libera dall’ignoranza, aperta all’interazione, ma è anche vero che paradossalmente essi non favoriscono la comunicazione e producono isolamento. La coscienza esposta al messaggio televisivo rischia di considerare realtà la finzione di spettacolo e di confondere questa con quella. Tale rischio investe più facilmente la coscienza incerta e debole dei più giovani e in genere le coscienze non strutturate su solidi orientamenti di valore.
Questa, dunque, è una campana; ma c’è un’altra campana che fa sentire i suoi rintocchi.
Infatti, se tutto questo è vero, è vero anche il suo opposto, e cioè che il paesaggio televisivo è modificabile dalla società; esso non è un assunto da subire e al quale doversi adeguare; è il risultato di decisioni umane che possono evolvere e mutare sulla base dell’opinione pubblica.
Senza addentrarci dunque in questo argomento, possiamo piuttosto accennare alla discussione, che pareva fino a qualche tempo fa strategica, sulla cosiddetta convergenza. Se, cioè, la digitalizzazione dell’informazione e dei contenuti, più in generale, avrebbe portato alla prevalenza del computer, del telefonino o del televisore.
Come sottolineato da due studiosi del settore, F. Ciotti e G. Roncaglia “in una prima fase, quella che stiamo attraversando, la convergenza al digitale dovrà accettare alcuni compromessi con le nostre abitudini comunicative, con gli strumenti esistenti, insomma con il volto tradizionale dei media. […] Questo processo non porterà certo alla sostituzione di tutti i media col computer, soprattutto se intendiamo per computer l’oggetto fisico - cabinet, tastiera, monitor … - che ci è ormai familiare. Ma, indubbiamente, molti se non tutti i media che conosciamo acquisteranno un’anima digitale, e nel farlo verranno meno molte fra le rigide distinzioni tecnologiche, funzionali e di mercato alle quali eravamo abituati”.
Su un diverso versante interpretativo, invece, altri due studiosi, B. Olivi e B. Sommalvico per i quali non si è avverata la profezia della “convergenza” tra televisione e telecomunicazioni, o quanto meno essa si è prodotta solo in parte attraverso la numerizzazione dei segnali, senza portare sconvolgimenti importanti nelle strategie industriali.
Per Olivi e Sommalvico, piuttosto, alla parola magica “convergenza” si sostituisce oggi un’altra predizione, quella dello sviluppo della televisione interattiva come evoluzione naturale del medium televisivo.
“La crescita della televisione interattiva e dei servizi dei media on demand comporterebbe la riduzione quantitativa dei servizi televisivi classici e la trasformazione delle modalità di instradamento dei segnali televisi, il che renderebbe obsolete la cosiddetta televisione lineare di flusso e le modalità di irradiazione radio circolare dei segnali (broadcasting), riducendo la televisione alla stregua di un piccolo sottoinsieme dell’universo di Internet”.
L’interattività è destinata ad avere un influsso profondo sul consumo televisivo. Da un lato infatti sembra in grado di agire sui palinsesti.
La televisione incomincia a trasformare un’offerta rigida in un ventaglio di prodotti da cui l’utente - pagando - può godere di una scelta personalizzata…La televisione rinuncia ad una delle sue caratteristiche costitutive come la comunicazione di flusso (che all’atto pratico si traduce nel palinsesto) e alla programmazione ad appuntamenti fissi. Lo svincolamento dal fattore tempo avvicina lo spettatore al lettore per quanto riguarda le modalità di consumo… Ma la parziale ibridazione in atto tra televisione e web non si limita a questi particolari. L’interazione tra i due media è sfruttata anche in ambito commerciale, per le pratiche legate al cosiddetto t-commerce (commercio in tv) e in questo modo il genere stesso della pubblicità incomincia a trovare nuove vie per relazionarsi con lo spettatore.
Dall’altro l’apparecchio televisivo può diventare il veicolo per portare all’interno delle nostre case una serie di servizi di pubblica utilità, rafforzando e diversificando il legame tra cittadino e pubblica amministrazione. Giocano un ruolo favorevole da questo punto di vista, alcune considerazioni:
la presenza della tv praticamente in ogni casa, l’interfaccia amichevole dei servizi interattivi offerti con il mezzo televisivo, il valore promozionale del mezzo.
Mentre resta controverso il fatto che la interattività possa portare all’industria dell’intrattenimento, quindi agli operatori televisivi tradizionali, un valore aggiunto tale da giustificare gli ingenti investimenti necessari per la migrazione digitale, non vi è alcun dubbio che alcuni potenziali fornitori di contenuti (primo fra tutti la Pubblica Amministrazione, specie a livelli locali, ma anche imprenditori di servizi, della finanza e di molti altri settori) dovrebbero guardare alla televisione digitale terrestre come all’unica tecnologia in grado di consentire un servizio universale di comunicazione bidirezionale, informativo-dispositiva. La scarsa alfabetizzazione informatica del nostro paese, l’onerosità dei call center, la penetrazione a macchia di leopardo della televisione digitale satellitare, rendono gli altri media, pc compreso, in qualche modo elitari, privi della caratteristica di universalità attribuibile alla televisione. Se si vuole instaurare un dialogo diretto tra cittadini e Istituzioni, come fondamento di un nuovo welfare articolato sulla trasparenza, la semplificazione delle procedure, il facile accesso delle informazioni necessarie ed utili, il medium da privilegiare non può che essere la televisione. Quella digitale-interattiva del futuro, ma anche quella esistente, utilizzando soprattutto le tecnologie ponte, come quelle nVOD (near video on demand) ed il Teletext interattivo che già consentono una comunicazione bidirezionale, sia pure con alcuni limiti e mediante la combinazione con un altro terminale, il telefono.
Ed è proprio questo sviluppo della televisione digitale che intendiamo prendere in esame, a partire dalle esperienze già affermate di e-government e democrazia elettronica sperimentate su Internet, verificando come proprio grazie ad esse sia cambiato anche il concetto habermassiano di sfera pubblica. Valutando come possano contribuire a ridurre il cosiddetto digital divide, cioè il gap di conoscenze e di accessibilità ai nuovi servizi che rischia di diventare nel prossimo futuro un ulteriore elemento di disparità sociale, tra chi ha e chi, invece, non ha.
La natura diffusa e interattiva della comunicazione in rete, infatti, potrebbe ricostruire il tessuto della comunicazione dialettica, che è alla base di un corretto funzionamento della politica. E ciò in quanto la rete da una parte si presta a fornire alle istituzioni e alle associazioni politiche un formidabile strumento per veicolare informazioni verso i cittadini; ma, dall’altra, permette la riattivazione del processo inverso, ovvero la partecipazione attiva dei cittadini al dibattito politico e alla formazione degli indirizzi e degli orientamenti politici sia nelle istituzioni sia nei partiti. Strumenti come i gruppi di discussione e le comunità virtuali, già sperimentati e affermatisi sul Web possono diventare i nuovi luoghi di partecipazione, in cui i cittadini manifestano le loro opinioni e contribuiscono alla determinazione della volontà generale. Tanto più che, indipendentemente dal tasso sempre più crescente delle innovazioni, oggi la fruizione della comunicazione telematica, con i suoi processi bidirezionali, è, teoricamente, alla portata di chiunque.
Una ulteriore considerazione che ci sembra possibile fare è che anche la politica, in senso generale, potrebbe avere un beneficio non indifferente da questa rivoluzione, riavvicinando i cittadini ad un mondo verso il quale stanno maturando una crescente disillusione, che si evidenzia con l’aumento dell’astensione al momento del voto.
Un processo questo che, quasi certamente non riguarderà la televisione nel suo complesso, ma una parte, probabilmente via via crescente, dell’offerta televisiva, in grado di rispondere alle esigenze di un pubblico che, come accennato, potrebbe se non abbandonare la fruizione passiva della tv, cosa che a nostro avviso non appare realistica, affiancare ad essa un uso più maturo e consapevole. •