L'Annuario
Moda
Lusso e paillettes
di Agata Patrizia Saccone
Vi sarebbe mai venuto in mente di pensare ad un “diavolo” dal total look rigorosamente griffato? E di mettere una griffe al centro dell’attenzione inserendola persino nel titolo di un film? Ebbene, lo ha fatto David Frankel, autore di uno dei film già campione d’incassi in appena un mese di proiezione nelle sale cinematografiche italiane. Chiaramente stiamo parlando del sofistificato “Diavolo che veste Prada”.
C’è la direttrice di un importante giornale di settore che decide il bello e il cattivo tempo del mondo paillettato della moda, c’è colei che in questo mondo ci capita per caso, c’è il raffronto tra lo sciatto e il luccicante. E’ un parallelismo, il film, con quello che in realtà è l’universo fashion. Specie nell’America di Anna Wintour, la famosissima direttrice di Vogue cui è ispirato il personaggio di Miranda interpretato (da Oscar!) da Meryl Streep. Tant’è che il tocco di reale è rappresentato dai camei dei veri Gisel Bundchen (top model di fama internazionale) e Valentino, quest’ultimo nei panni di se stesso. Mentre si susseguono frames che immortalano tacchi alti, abiti da favola e accessori di lusso. Borse, scarpe, cappotti, tutto rigorosamente griffatissimo. Chanel, Prada, Versace, Marc Jacobs, Jimmy Choo, Karl Lagerfeld, e così via: non manca proprio nessuno ed oggi, dopo il successo del film, fanno a gara per vestire le protagoniste, compresa Anne Hathaway, Cenerentola sulla scena (ma solo lì) inizialmente sciatta e distaccata, poi elegantissima e fagocitata dal contesto, quindi ragazza acqua e sapone per scelta tornata tra i Very Normal People dopo essere stata Very Important People.
Ma com’è davvero questo mondo, che appare così sfavillante e spietato?
“Chiunque abbia attraversato il mondo della moda sa quanto possa essere frenetico e crudele, però non più di altri mondi professionali dove dominano il business, l’ambizione personale, la competizione spietata, il gelido carrierismo”, commenta la giornalista Natalia Aspesi su Repubblica.
Aggiunge Cinzia Malvini, giornalista di moda de La 7 e da dieci anni conduttrice del programma tematico M.O.D.A, perciò costantemente a contatto con questa realtà: “E’ un mondo dalla superficie patinata, che vende sogni, ma è anche espressione del quotidiano. Io, ad esempio, racconto questo mondo di cantori di sogni, ma alla pari delle emozioni, evidenzio l’aspetto commerciale e quindi economico che muove il paese. Non dimentichiamoci infatti che per l’economia, in particolare in Italia, è volàno della realtà commerciale. Perché il “Made in Italy” è da sempre motore dell’economia nazionale e va difeso”.
In Francia la moda è addirittura un bene culturale tutelato. Essendo il glamour della moda considerato erede del mondo artistico dei secoli passati, in Italia si dovrebbe ambire ad istituire un connubio moda e arte da salvaguardare?
“Sui connubi sono timorosa” - continua la Malvini - “La moda deve essere patrimonio da museo solo a grandi livelli. La Francia fa così. Ma attenti a parlare di similitudine tra moda e arte. Piuttosto promuoviamo luoghi, fondazioni e circuiti dove comunicare questo patrimonio. Spero che il Governo italiano si ponga un simile obiettivo senza cadere nell’illusione di moda e arte indissolubili”.
Guardare il vorticoso mondo della moda con occhio presuntuoso da intellettuale, in effetti, può far sembrare tutto superficiale, effimero e superfluo. In verità, però, l’industria della moda dà lavoro a migliaia di persone. Dietro a quello che vediamo nelle vetrine o nelle copertine delle riviste, c’è il sudore e la passione di un esercito di addetti ai lavori.
Monica Cerullo è un’affermata top model friulana, che ha lavorato con Ferrè, Etro, Krizia, Dolce & Gabbana, Alessandro dell’Acqua e Valentino. Ha iniziato a 18 anni dopo aver partecipato ad un concorso di bellezza che le ha aperto le porte dell’agenzia Riccardo Gay di Milano: “Io consiglierei alle ragazze che sognano di diventare top model - ci racconta - di coltivare questo sogno, senza tuffarcisi da bambine. Occorre avere cognizione dei sacrifici da affrontare, di lasciare famiglia, amici e abitudini perché costretti a viaggiare continuamente senza poter programmare nulla di personale. Non basta essere belle, necessario essere mature: se quel pizzico di fortuna che non guasta aiuta a realizzare il sogno nella consapevolezza di vantaggi e svantaggi, allora bisogna imparare a muoversi guardinghi in questo universo per resistervi a lungo”.
Una frase ricorrente del film che, data l’attualità in questa sede abbiamo preso ad esempio, è “milioni di ragazze vorrebbero essere al posto nostro”: non parliamo solo del lavoro di modella ma in generale delle “tacchettine”, soprannominate così perché senza tacchi, laddove ci sono passerelle e backstage, non si fa strada. Questione di look.
Ma l’ambizione che anima chi si muove in questo mondo non si differenzia poi così tanto dal cinismo becero e camuffato del più ghettizzato ufficietto di città.
E, per dirla alla Miranda, “è tutto!”. •