L'Annuario
AAA cercasi giovani laureati con esperienza lavorativa
Come faccio ad avere esperienza se sono un neo-laureato? E’ la domanda che si pongono i ragazzi freschi di laurea alla lettura dell’inserzione “AAA cercasi giovani laureati con esperienza lavorativa”. Lo studio sui libri, la preparazione teorica (se non supportata da master qualificato), non è abbastanza per le aziende, che preferiscono spendere poco tempo sulla formazione. E quando decidono di investire su questa, lo fanno con un’offerta economica così bassa che il neo assunto (magari fuori sede) è costretto a rinunciare perché impossibilitato a coprire le spese. Con effetto double face, in quest’ultimo caso: c’è una fetta di popolazione giovanile che ha reali difficoltà ad affrontare una fattispecie simile; un’altra che si avvale dell’alibi per continuare a vivere la comoda realtà di universitario sostenuto dalla famiglia.
Questo sistema, comunque, oltre a far registrare un tasso di disoccupazione giovanile del 24% in Italia (con punte del 38% nel Mezzogiorno e del 44% se si tratta di ragazze) innesca un circolo vizioso da cui è difficile oggi tirarsi fuori. Un’indagine rivela che esiste una buona nicchia di studenti (il 45%) che tenterebbe di cominciare a lavorare mentre continua gli studi. Un altro 5% abbandonerebbe invece gli studi per una “buona offerta di lavoro”, e nel Sud sono ancora di più. La percentuale di abbandono in cambio di un lavoro sale nettamente se il giudizio conseguito alla scuola dell’obbligo è medio-basso o se il percorso di studi non è regolare: si parla di potenziale rinuncia agli studi per il 50% dei ragazzi.
Da dati Isfol, risulta che il 14% degli intervistati tra i 15 e i 24 anni ha rifiutato nell’ultimo mese almeno un’offerta di lavoro o perché la retribuzione non era soddisfacente o perché il tipo di contratto non coincideva con le loro aspettative. Più si abbassa l’età più l’accettazione del lavoro dipende dai termini contrattuali ed economici offerti. Il 58% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni accetta l’impiego solo se soddisfa le sue richieste. Maggiore è l’età maggiore è la predisposizione ad accettare compromessi col datore di lavoro o condizioni lavorative meno allettanti. Un aspetto decisamente positivo è l’alta disponibilità a viaggiare e ad accettare occupazioni anche all’estero. Il 70% dei giovani tra i 15 e i 24 anni sarebbero disposti a cambiare città e persino a trasferirsi all’estero, quota che sale all’80% se si parla della fascia tra i 24 e i 29 anni.
Altra costante, il contratto a tempo determinato, che accomuna i lavoratori cosiddetti “atipici”: costoro vivono nelle aziende come se dovessero sempre dimostrare, ogni giorno, quel che valgono. Tanto che negli uffici rimangono sempre più tempo. Volenti o nolenti. Molti di loro possono arrivare a lavorare 45 ore per ciascuna settimana del loro impiego “a tempo”. Nel settore privato, più di sette stagisti e tirocinanti su dieci, lavorano per un tempo che supera costantemente le 38 ore a settimana. Sono questi alcuni dei risultati dell’indagine “Il lavoro para-subordinato a rischio di precarietà in Italia” dell’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) che ha analizzato le condizioni di lavoro, i percorsi e le prospettive dei lavoratori e delle lavoratrici con contratto di collaborazione. La ricerca è stata presentata a Roma in occasione dell’uscita del 1º Rapporto dell’Osservatorio permanente sul lavoro atipico in Italia. Ce n’è per tutte le professioni: i traduttori, gli psicologi e i giornalisti. I geometri, i tecnici informatici e i webmaster. Ma soprattutto, gli operatori di call center, gli stagisti e i borsisti. Otto su dieci svolgono un lavoro per un solo committente. Soprattutto se hanno un contratto di lavoro a progetto o un co.co.co. nel pubblico. Due collaboratori su tre lavorano nella stessa azienda da oltre due anni. Questi elementi, dicono gli autori dell’indagine, “alludono a una dipendenza di fatto, almeno di natura economica, confermata dal fatto che, anche dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, pressoché tutti i collaboratori intervistati hanno un rapporto di quasi dipendenza.” L’80% lavora presso la sede del committente, il 77% deve garantire una presenza quotidiana e il 71% deve rispettare un orario di lavoro. Il tutto senza una paga commisurata agli sforzi e con poche certezze riguardo le prospettive future. Il 31% di questa categoria di lavoratori guadagna meno di 800 euro netti al mese e un altro 26% arriva a guadagnare mensilmente una cifra compresa tra 800 e mille euro. Solo uno su dieci di loro riesce a superare i 1.500 euro. Le condizioni economiche e l’incertezza relativa ai percorsi e alle prospettive professionali sembrano avere un diretto impatto sulla possibilità di dare vita a un progetto familiare: non ha figli il 51,2% di chi ha più di 35 anni.