ventitreesima edizione

2) L'Annuario

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Editoriale

La Lega allo specchio

di Sergio Regalbuto

Sergio RegalbutoSi chiama “devolution” perché così ha voluto ed ottenuto Umberto Bossi dopo tanti anni di battaglie, alleanze, compromessi e paroloni. Slogan che hanno fatto sobbalzare ed indignare gli italiani sostenitori del perbenismo e del nazionalismo. Quei cori gridati che additavano, senza scampo, “Roma ladrona” ci rimbombano ancora nelle orecchie; ci frantumano il cervello; ci spezzano il cuore. Quasi un’offesa all’Unità d’Italia, conquistata con tanto sangue e mantenuta con enormi sacrifici.
All’improvviso, però, ci si illumina. I riflettori li accende il Parlamento; le riflessioni le sviluppa il dibattito; le conclusioni le traggono le Camere.
La riforma federale approvata da deputati e senatori, però, potrebbe essere solo una meteora. Come prevede la Costituzione, il testo sarà sottoposto a referendum, poiché non è stato approvato “nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
Entro sei mesi, una consultazione popolare confermativa potrebbe dare un colpo di spugna, in un giorno, a ciò che il governo ha laboriosamente scritto durante un’intera legislatura. Il compiacimento di Bossi, l’entusiasmo della Lega con i relativi brindisi, potrebbero occupare lo spazio di un frame nel film della politica italiana. Sarebbe stata inutile, quindi, la diatriba sul federalismo e sulla riforma della Costituzione che ha dominato gli ultimi quindici anni? Lo deciderà il “popolo sovrano”. Ma l’intuizione dice di no.
Di certo c’è, infatti, che il dibattito avviato e sviluppato in questi tre lustri di storia riformista ha acuito le riflessioni sui poteri dello Stato e, a scalare, ha evidenziato il ruolo pregnante e centralistico dei partiti. Un ruolo ormai inaccettabile; anacronistico ed avulso da ogni logica liberale, associativa, decisionale. Ma, soprattutto, estraneo alla realtà territoriale, fatta di quella quotidianità ricca di problematiche e progettualità che solo chi le vive dall’interno può affrontare e risolvere.
Non ci indigni più, dunque, la filosofia leghista. Ovviamente nella sua parzialità, ben inteso. Non certo nella disgregazione dell’Unità del Paese. Ma nel disimpegno dal centralismo partitico.
Non stupisca, allora, la nascita di movimenti ed ideologie che mirano alla valorizzazione ed allo sviluppo del proprio territorio. E che si contrappongono alle tipiche e ormai smascherate “cene romane” in cui si decidono i destini di uomini e di territori lontani e, nel nostro caso (ahinoi), periferici.
Non scandalizzi affatto, perciò, il migrare di risorse umane della politica da una sponda all’altra, sventolando bandiere una volta con un simbolo e poi con un altro, alla ricerca di valori etnici. Anche in questo caso nella sua parzialità, ben inteso. Il movente ideologico del cambiamento deve essere chiaro, definito, reale. Il ritrovarsi uniti nel comune denominatore. Si chiami esso “riscatto” o “autonomia” o “alleanza” o “apartitismo”, sia inteso come inno - nel caso nostro - alla sicilianità. Non come tradimento della propria, atavica, militanza partitica.
Ci offenda, però, l’eventuale idea che la traslazione individuale o, peggio ancora, le migrazioni di massa vadano non certo a caccia di sviluppo territoriale ma di potere e di poltrone.
Il prossimo anno sarà caratterizzato da importanti appuntamenti elettorali che delineeranno la tenuta dei partiti centrali o la nascita dei movimenti locali. Le politiche e le regionali ci indicheranno la strada che gli elettori vogliono percorrere. Ed il bivio non è (e non deve essere più) fra destra e sinistra ma fra centralismo ed autonomia o federalismo (chiamatelo come meglio credete).
Spingendo lo sguardo più il là nel futuro, ormai non troppo lontano, ci ricordiamo che nel 2010 il Mediterraneo sarà area di libero scambio.
In questo mare di differenze economiche, occupazionali, produttive e reddituali tra nord e sud, bisognerà che cittadini, elettori e politici siciliani remino tutti nella stessa direzione. Verso la stessa sponda. Quella dello sviluppo e del riscatto, che ci avvicini al centro dell’Europa. A noi che siamo già periferia dell’Italia. Etichettati da quella Lega per la quale, adesso, non sentiamo poi tanta repulsione. Nella sua parzialità, ben inteso.