
L'Annuario
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Presto
i progetti di bonifica |
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pagine a cure di
Paolo Mangiafico |
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(in collaborazione
con l'ufficio P.R. editoriale) |
Per il dissesto ambientale, che ha interessato il suolo,
il sottosuolo ed il mare di Priolo in tutti di questi anni di industrializzazione
selvaggia, esistono dei progetti di bonifica che, dopo la caratterizzazione
dei siti, dovrebbero essere attuati entro il prossimo anno. E su questo
recupero dell’ambiente sono puntate tutte le speranze occupazionali
in una zona, ormai, in crisi di lavoro, dopo che per anni il petrolchimico
ha dato occupazione a quasi tutta la provincia di Siracusa. “La crisi
del lavoro - afferma il sindaco Massimo Toppi (nella foto) - e le problematiche
ambientali sono due capitoli strettamente legati, perchè il recupero
dell’ambiente potrebbe portare occasioni occupazionali e soprattutto,
finalmente, un pò di verde nel nostro territorio che più
di tanti altri ne ha bisogno. Occorre, inoltre, che si renda l’ambiente
più respirabile. Infatti, ancora oggi, più che mai, si hanno
in atmosfera tante sostanze nocive che, magari, isolatamente, possono
essere tollerate, ma immesse in atmosfera contemporaneamente, così
come succede, anche se dentro certi limiti, raggiungono concentrazioni
dannose per la salute”.
- E sulle tematiche occupazionali? |
Dal mito della ninfa al culto della Madonna |
Nel territorio dell’agro priolese, in piena zona industriale, a pochissima distanza da dove sorge la “Tapsus iacens” di virgiliana memoria, si trova il “Fondo del Fico”, che faceva parte del feudo dei marchesi Gargallo, in parte miracolosamente sfuggito alla scure di una industrializzazione selvaggia che nella metà del secolo scorso ha cambiato completamente l’aspetto topografico a questa zona che vide gli albori della nostra civiltà. Il “Fondo del Fico” può essere considerato un luogo sacro, dove da sempre si perpetua il culto della verginità: dal mito della ninfa Sicheia al culto della “Madonna del Fico”, che è stato celebrato fino al secolo scorso all’interno di una chiesetta, la cui struttura è attaccata ad una torre di avvistamento del periodo del viceregno spagnolo. Il caso, o forse qualcosa di diverso dal caso, ha voluto che almeno una certa area di questo fondo, in particolare dove sono ubicate la torre e la cappella, non venisse sacrificata all’industrializzazione, in modo che testimoniasse ancora nei nostri giorni una virtù basilare nell’educazione religiosa femminile: la verginità, passando dalla mitologia greca alla cristianità. La leggenda narra che lungo la costa orientale della Sicilia, laddove il pendio del monte Climiti degrada verso lo spumeggiante mare Ionio, un tempo viveva una ninfa di nome Sicheia, che soleva errare per questi luoghi pianeggianti, conosciuti come “Fondo del Fico”, in quanto si trovavano tantissimi alberi di “suke” (fico), frutti cari al dio Diòniso, così come l’uva. E proprio questa leggenda sta a significare come i fichi, personificati da Sicheia, e l’uva da Diòniso, sono gli unici frutti eccellenti della natura, così come viene riportato in diversi trattati di agricoltura del tempo. Zeus aveva messo a custodia degli alberi e dei frutti di fico la ninfa Sicheia, la quale in segno di riconoscimento aveva offerto la sua verginità allo stesso signore dell’Olimpo. In questo luogo si raccoglievano canestri di fico che nei riti diònisiaci venivano portati in processione per offrirli in espiazione, specialmente dalle città afflitte da epidemie. Sicheia era una leggiadra fanciulla, di una bellezza senza eguali e un giorno su di lei caddero le attenzioni morbose di Diòniso che pensò di rapirla per farla sua. La ninfa cercò di fuggire perchè non voleva cadere tra le braccia di Diòniso, ma quando Diòniso stava per raggiungerla e portarla via con sè, Sichea implorò Zeus che per farle conservare la verginità la trasformò in albero di fico.
Il marchese Tommaso Gargallo, fondatore di Priolo e proprietario di questi luoghi, da quel grande classicista che era, riecheggiando questo evento mitologico e ricalcando il mito di Apollo e Dafne, immortalato dal Bernini, incaricò il pittore Giuseppe Velasquez di fissare con i colori su una tela la metamorfosi di Sicheia. Giuseppe Velasquez, palermitano, nato nel 1750, era parente del famoso e grande pittore spagnolo di cui, appunto, porta lo stesso cognome. L’artista dipinse per molti casati della Sicilia e la”Metamorfosi di Sicheia” è uno dei suoi capolavori che fanno parte della collezione privata della famiglia Gargallo ed è un vero peccato che soltanto a pochi sia consentito di ammirarlo. Velasquez, con una vivacità di colori, raffigura la ninfa nell’attimo in cui le sue mani si trasformano in foglie di fico ed i piedi in radici. Accanto alla ninfa è raffigurato un attonito Diòniso, mentre a destra è dipinto un gruppo di amorini intenti a giocare con la pantera nera, l’animale sacro a Diòniso. Sulla sinistra, invece, si possono ammirare le Baccanti, che spremono grappoli d’uva e nella parte alta della tela, quasi uscente da un fogliame di fico, c’è Cupido nell’atto di tendere l’arco. Il quadro si trova nella galleria Gargallo di Palazzo del Carmine, a Siracusa. Sicheia, esempio di castità verginale, può essere considerata come “pendant” di quella “Madonna del Fico”, che più tardi, nel 1923, su incarico dei marchesi Filippo e Mario Tommaso Gargallo, nipoti di Tommaso Gargallo, venne dipinta dall’artista Corrado Adorno, docente presso l’Accademia delle Belle arti di Firenze. I nipoti di Tommaso Gargallo vollero che il racconto mitologico trovasse una continuità nella cristianità e, quindi, fecero in modo che all’interno della chiesetta del fondo si tenesse anche il culto della “Madonna del Fico”. Corrado Adorno rappresentò la “Madonna del Fico” nella Vergine reggente in grembo il Bambino, seduta sopra un masso, all’ombra di albero di fico, mentre sullo sfondo si delinea l’imponente bastionata degli Iblei. L’industria petrolchimica, quando acquisì la proprietà del fondo, donò il quadro alla rappresentanza amministrativa dell’allora frazione di Siracusa, ed oggi la “Madonna del Fico” fa bella mostra nella stanza del sindaco del Comune di Priolo. |
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Un'oasi tra le ciminiere |
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Un tempo, qui, nelle saline di Priolo, si preprava una qualità di sale tra le migliori in commercio, le cui peculiarità sono citate dallo storico romano Plinio il Vecchio. Oggi sono quelle stesse saline diventate dei “pantani” che ospitano una miriade di uccelli acquatici, per lo più quelli migratori, che sostano in questa vera e propria “oasi tra le ciminiere”. Questa ricchezza faunistica delle saline di Priolo, che sono state dichiarate nel 2000, da parte della Regione siciliana, RSO (Riserva Naturale Orientata), permette ai tanti appassionati di bird-watching di osservare, dall’interno di appositi capanni, il comportamento degli uccelli. La gestione di questa Riserva naturale è stata affidata alla Lipu (Lega italiana protezione uccelli) e di recente è stato inaugurato un sentiero per i portatori di handicap e che permetterà agli stessi di arrivare con la loro carrozzina nel capanno dove potranno ossrvare gli uccelli che soggiornano nelle saline. In occasione dell’inaugurazione di questo sentiero che rende fruibile la Riserva ai disabili, donati dalla Forestale, sono stati liberati tre uccelli rapaci: due gheppi ed una poiana. L’oasi naturalistica delle saline di Priolo si conferma come uno tra i più importanti centri della Sicilia per l’educazione ambientale. Tutta l’area della Riserva naturale occupa una superfice di circa50 ettari, residuo di una più vasta zona umida, utlizzata per la produzione del sale, che occupava un’ampio tratto di costa. In tutta la Riversa naturale si trovano quattro capanni, tutti attrezzati per il bird-wacthing, ed ogni anno queste saline sono visitate da oltre 3.000 studenti. |