L'11 settembre, l'Afghanistan, l'Iraq. Sembra stare tutta in queste battute
l'equazione "crisi economica-petrolio".
LE TWIN TOWERS
"Non permetteremo che questa tragedia comprometta l'economia globale:
monitoreremo gli sviluppi economici e i mercati finanziari attentamente.
Siamo pronti a prendere ulteriori misure, se necessario". Un comunicato
di poche battute, scelte nel linguaggio secco e burocratico richiesto
nei momenti di crisi. Così i ministri finanziari e i governatori
delle banche centrali dei Sette paesi più industrializzati lanciavano
un segnale forte per riportare la calma in uno scenario mondiale dove,
dopo l'attacco terrorista all'America, cresceva, di ora in ora, l'allarme
recessione. I leader del G7 si muovevano immediatamente con un intervento
concordato subito dopo che il primo Boeing del terrore si era schiantato
contro le Twin Towers newyorkesi. Prima la Federal Reserve, poi la Banca
centrale europea avevano, infatti, annunciato di essere pronte a immettere
sui mercati tutta la liquidità necessaria, in sintonia con le banche
centrali di ogni continente, dal Giappone all'Australia, dalla Thailandia
alla Corea.
Era tutto finito? Assolutamente no. Anzi il "bello" (si fa per
dire) doveva arrivare.
Non a torto gli economisti (definiti da qualcuno Cassandre delle Torri)
predicavano che sarebbe arrivata, inevitabile, una recessione economica,
dettata dal crollo dei consumi, crollo che, ha inciso sul prodotto interno
lordo dei paesi, Italia compresa.
Ma l'11 settembre è una data che può essere presa in esame
come concausa di un momento economico in flessione, dopo i record a getto
continuo degli anni Novanta. Una tesi non peregrina, anzi condivisa da
molti esperti, secondo cui, a parte alcuni settori specifici toccati in
maniera maggiore dagli attentati terroristici, a spingere in basso l'economia
statunitense sono stati la difficile uscita dalla recessione creata dallo
scoppio della bolla Internet, l'inatteso naufragio del settore delle telecomunicazioni
e, soprattutto, la serie di scandali finanziari succedutisi alla bancarotta
di Enron.
AFGHANISTAN
Bin Laden non si trova e la nazione stenta a trovare un equilibrio. Anzi,
proprio alla fine dello scorso ottobre, sono tornati gli attentati.
IRAQ
Saddam è stato arrestato, ma, dopo la guerra, non si può
dire che sia scoppiata la pace. Gli attacchi terroristici sono all'ordine
del giorno e, spesso, vanno a colpire i pozzi petroliferi, bloccando l'estrazione.
Il petrolio. Questa dovrebbe essere la chiave che apre il cassetto delle
economie mondiali. Un cassetto in crisi, dove soltanto gli Stati Uniti
d'America, grazie alle elezioni presidenziali, sono apparsi più
resistenti, anzi in netto progresso. A parte il deficit federale enorme.
IL PETROLIO
L'oro nero, come si definisce ormai il petrolio, è risultato il
padre padrone dell'economia mondiale. Le enormi richieste provenienti
dalla Cina (dove il prodotto interno lordo è cresciuto nei primi
nove mesi di quest'anno del 9,5%, cioè cinque volte superiore a
quello di Eurolandia) e dall'India, hanno progressivamente fatto segnare
al greggio nuovi record, ben oltre quelli degli anni '90, quando scoppiò
la prima guerra in Iraq.
Ogni giorno un record. E ogni giorno previsioni degli analisti per nuovi
traguardi. Con un'evidente percezione che per ogni centesimo di aumento
si sarebbe verificata un'ulteriore rallentamento della crescita economica
mondiale. L'energia, oggi ancora largamente disponibile, diventerà
alla lunga un serio problema per tutti. A maggior ragione per un paese,
come gli Stati Uniti, che si pone come priorità strategica quella
di mantenere il ruolo di superpotenza solitaria, priva di avversari tali
da metterne in discussione, sotto il profilo economico e militare, l'attuale,
indiscussa, leadership. In tal caso l'accesso alle fonti d'energia è
un problema centrale della politica estera. Attualmente, gli Usa importano
circa il 55% dei loro fabbisogni di energia, ma questa quota è
destinata a salire ad oltre il 65% nel 2020, quando i consumi energetici
globali, secondo stime, saliranno di oltre il 50% rispetto ai livelli
attuali; e gran parte di questa quota oggi dipende dal Medio Oriente,
dall'Arabia Saudita in primis.
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L'ITALIA E L'ENERGIA
Da queste parti non stiamo meglio.Il presidente dell'Enel, Pietro Gnudi,
mi diceva, giorni fa, nel corso di un'intervista pubblicata su "La
Sicilia", che in tutto il mondo, quando si parla di elettricità
ci si riferisce per il 60-70% a carbone e nucleare come fonte. E aggiungeva
che in Italia, invece, continuiamo a produrre più del 60% della
nostra elettricità bruciando idrocarburi. Una scelta che non solo
ci ha esposti e ci espone ai rialzi del prezzo del barile, ma che ci condanna
anche a dipendere da pochi paesi fornitori che certo non sono portabandiera
di stabilità politica. Se vogliamo ridurre il costo della bolletta
energetica, dunque, dobbiamo pensare a fonti alternative, cioè
il carbone, le fonti rinnovabili, come l'idroelettrico, il geotermico,
l'eolico e il solare. Una speranza per la Sicilia, visto che intorno alla
centrale Enel di Priolo Gargallo sorgerà il più grande impianto
solare termico europeo che realizza un sogno del premio Nobel, Carlo Rubbia.
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INFLAZIONE REALE E PERCEPITA
La crisi generale dell'economia ha prodotto, come era nelle attese, un
calo dell'inflazione, almeno di quella ufficiale. Perché quella
percepita è rimasta sempre su livelli elevati. Il calo del tasso
inflativo in Italia, lo ha riconosciuto anche l'Istat, è però
dovuto principalmente al contestuale calo dei consumi. Perfino di quelli
alimentari. L'italiano, insomma, sta vivendo una delle crisi più
nere dal 1929 e, messo alle strette da prezzi esorbitanti in tutti i settori,
non potendo acquistare prodotti e beni, sta contribuendo ad un ulteriore
avvitamento su sè stessa di un'economia già fin troppo fragile.
POKER AL BUIO
Ci chiediamo adesso chi ha truccato le carte. Se siano stati gli industriali
o i commercianti. Ci chiediamo dove la filiera abbia fatto acqua. Ma chi
ha speculato, dopo o in concomitanza, con l'entrata in vigore dell'euro?
Chi ha speculato dopo l'attacco alle Twin Towers? Chi ha speculato dopo
le guerre in Afghanistan e in Iraq? Chi ha speculato sugli immobili, facendo
salire i prezzi in maniera abnorme? Chi ha speculato sul prezzo dei carburanti?
Tutto è stato raddoppiato.O addirittura triplicato. La mancanza
di stime precise è dovuta forse alla difficoltà di quantificare
gli eventi: come diceva Keynes "è meglio indicare cifre vagamente
esatte che offrire stime precise totalmente errate". L'Istat dovrebbe
imparare.
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MEA CULPA
Ma nessuno ha il coraggio di attribuirsi la colpa dell'aumento dei prezzi.
Nessuno vuol fare marcia indietro. Il governo, assente fino a ieri, adesso
si accorge della crisi e concorda con la grande distribuzione "prezzi
fermi fino a Natale". Attenzione: non diminuzione di una parte degli
aumenti ingiustificati, ma prezzi fermi. Poi, dal 2005, la corsa può
riprendere. Ma forse, anzi certamente, qualcuno ha tirato la corda un
po' troppo. Sta di fatto che chi ha speculato a destra e a manca certamente
non ha pensato alle possibili conseguenze nefaste. Non ha pensato di aver
creato una bolla. Che alla fine scoppierà, coinvolgendo tutti.
Nessuno escluso.
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